Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Marzo 23 2020
Il tracciamento digitale contro il Coronavirus. Ma la privacy?

Oxford suggerisce la strategia di Taipei e Seul nella lotta al Covid-19. Il commento di Giuseppe Italiano e le raccomandazioni dell’ex Garante della privacy

Mentre a Taiwan e in Corea del Sud le saracinesche rimangono alzate, la lotta al coronavirus spinge i paesi europei verso il lockdown. Nonostante la vicinanza con la Cina, i due paesi sono riusciti a contenere l’epidemia grazie alle applicazioni per smartphone e ai sistemi di tracciamento gps. Ora uno studio di Oxford suggerisce la stessa strategia a chi non l’ha ancora adottata, ma i problemi legati alla privacy rimangono. Chi la vede come uno strumento di tutela, chi, invece, come un “intralcio”

Lo studio della Oxford University 

E’ uno studio condotto su un campione di coppie cinesi ed elaborato da un team di ricercatori di Oxford a dimostrare che il tracciamento e l’uso della tecnologia, oltre al lockdown, possono ridurre il diffondersi del Covid-19. L’obiettivo dei ricercatori guidati dall’italiano Luca Ferretti, è quello di individuare le misure di contenimento adeguate affinché si interrompa la catena dei contagi. Questa – secondo lo studio –  dipende dal numero di persone sane che ogni infetto riesce a contagiare. Se, in media, ogni persona infetta trasmettesse il virus ad un numero di persone superiore ad 1, questo continuerebbe ad espandersi. Se, invece, il numero di persone contagiate da ogni positivo scendesse sotto quota 1, la malattia pian piano progredirebbe verso l’estinzione.

Il grafico mostra il numero medio di trasmissioni durante l’infezione. Con il passare dei giorni aumenta il numero dei contagi effettuati in media per ogni positivo. L’obbiettivo quindi dovrebbe essere quello di agire tempestivamente prima che un contagiato ne crei altri, finendo per abbassare sotto quota 1 il numero di trasmissioni da individuo infetto a individuo sano. 

Agire in ritardo non farebbe altro che aumentare la probabilità di contagio. Per questo lo studio suggerisce misure alterative rispetto a quelle adottate nella maggior parte dei paesi alle prese con il virus. In Italia, ad esempio, i contatti dei positivi vengono rintracciati facendo appello alla memoria del paziente. Così facendo, la ricostruzione della storia dei positivi è soggetta ad una serie di ritardi dovuti alla lentezza con la quale viene ricostruita la catena di contatti. Inoltre, è probabile anche che quest’ultima non sia completa. Una memoria, per quanto infallibile, non riesce a ricostruire la rete di contatti di una persona. Non a caso, il team di ricercatori suggerisce l’utilizzo di sistemi di tracciamento tecnologici, come app per smartphone che possano monitorare la soluzione con più efficacia e velocità rispetto ai metodi classici. 

Taiwan e Corea del Sud

Una strategia già adottata dalla Corea del Sud e Taiwan, due paesi distanti solo qualche decina di chilometri dalla Cina, il paese da cui il Coronavirus è partito. La vicinanza farebbe pensare ad una situazione peggiore rispetto a quella italiana. Al contrario, i due paesi asiatici sono riusciti ad appiattire la curva dei contagi mettendo in pratica le misure consigliate dallo studio di Oxford ben prima che questo venisse redatto. 

«Taiwan ha agito tempestivamente», è l’opinione di Giuseppe Italiano, professore ordinario di computer science alla Luiss Guido Carli di Roma. «Il 31 dicembre 2019 sono stati bloccati a bordo dell’aereo tutti i passeggeri provenienti da Wuhan e sono stati sottoposti a screening, prima che potessero scendere dall’aereo. Sono stati rintracciati e visitati tutti i passeggeri sbarcati da Wuhan nei 14 giorni precedenti, e tutti quelli che presentavano sintomi sono stati messi in quarantena e monitorati. Inoltre – spiega Italiano – sono utilizzate tecniche efficaci di tracciamento mediante tecnologie digitali: le persone con sintomi sospetti e potenzialmente a rischio devono installare sul loro smartphone una app per il monitoraggio di sintomi e spostamenti. Questo sistema di tracciamento mediante smartphone rende possibile ricostruire la rete “sociale” di contatti di tutti i contagiati, e quindi rende possibile individuare velocemente i possibili contagiati, al fine di testarli, curarli in isolamento e interrompere quindi la catena di contagio» 

La stessa strategia è stata adottata dalla Corea del Sud. Incrociando le varie banche dati attraverso le quali è possibile ricostruire la rete di contatti dei positivi e individuare i possibili contagi. Non solo, al fine di contenere l’epidemia, in Corea è stata sviluppata un’applicazione ad hoc. «Tramite questa app – dice il docente della Luiss –  le persone ricevono assistenza e sono al contempo monitorate per rilevare i sintomi, per assicurarsi che restino a casa e che non diventino quindi degli “spreader” (contaminatori ndr) del virus. Infatti, ogni loro eventuale spostamento può essere monitorato tramite il gps». Il sistema di tracciamento è stato affiancato ad un rapido sistema per testare gli individui a rischio «effettuando test per verificare la positività al coronavirus in modalità “drive-through”; questo consente di effettuare decine di migliaia di test in più al giorno in maniera molto efficace ed efficiente». Il sistema sanitario coreano intatti è in grado di effettuare ben 20.000 test rapidi al giorni. Grazie al mix di strategie la Corea è riuscita a flettere la curva dei contagi senza effettuare il lockdown, l’unica misura adottata dai paesi europei. 

Problemi di privacy

Per quanto efficaci i sistemi di tracciamento richiedono l’utilizzo dei dati personali dei cittadini, creando inevitabilmente problemi di privacy. In Corea diversi sviluppatori privati hanno progettato app attingendo alle banche dati messe a disposizione dal governo. Si tratta di mappe che consentono di individuare età, nazionalità, genere e spostamenti dei contagiati al fine di evitare le zone a rischio infezione. Con questi dati però è semplice risalire all’identità dei positivo al Covid-19 violandone la privacy. Ma c’è una differenza fondamentale tra l’Europa e i due paesi asiatici.  

«Al contrario di Taiwan e Corea del Sud, la protezione dei dati in Europa è un diritto fondamentale», spiega Francesco Pizzetti, ex presidente del Garante delle Privacy. «Detto ciò a causa delle coronavirus abbiamo già perso molti dei diritti costituzionalmente garantiti come quello di circolazione e di riunione. Ma è la stessa Costituzione, insieme al regolamento europeo sulla protezione dei dati, a prevedere determinate eccezioni». L’epidemia rientra in questi casi, per questo l’ex Garante non è contrario alla sospensione di alcuni diritti come quello alla privacy, ma determinate condizioni. «Basta con i decreti d’urgenza», dice spazientito Pizzetti. Il riferimento è ai decreti degli ultimi giorni, nei quali viene prevista una deroga alla normativa sulla privacy ma senza tutele per i cittadini. «Non si possono sospendere i diritti fondamentali con questi provvedimenti, serve un atto parlamentare che faccia combaciare le lotta del virus con le tutele dei cittadini in materia di privacy.  Non avete il tempo di discutere in mezzo ad un emergenza? – chiede rivolgendosi indirettamente a chi sta gestendo l’emergenza – Bene, allora fatelo prima», conclude l’ex Garante.