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Esclusiva

Aprile 11 2020
“Not Me, Us”. Sanders si ferma ma il movimento continua

La corsa alla Casa Bianca di Bernie Sanders ha avuto fine l’8 aprile. Il suo movimento, tuttavia, mira a essere qualcosa di più ampio che resisterà nel tempo per costruire una nazione migliore

«While this campaign is coming to an end, our movement is not». La bandiera americana, le luci colorate di un concerto e i volti sorridenti o assorti delle persone radunate ai suoi comizi, con il pugno chiuso levato verso il cielo, scorrono nel video conclusivo della campagna elettorale di Bernie Sanders.

Nonostante i molti personaggi noti che si avvicendano sullo schermo (da Michael Moore a Emily Ratajkowski), i volti che più rappresentano l’essenza della campagna di Bernie Sanders sono quelli della gente comune che, nella luce dorata del mattino o del crepuscolo o in quella bluastra di una qualche fredda giornata d’inverno, ascolta attenta e speranzosa le parole di quest’uomo ingobbito, dai capelli bianchi e l’accento strano che, nonostante i suoi 78 anni, continua a parlare di un movimento dal basso che può cambiare l’America.

Il sogno di quest’anziano senatore del Vermont è che un vasto movimento intergenerazionale e interraziale possa portare il cambiamento negli Stati Uniti. Cambiamento che non può mai essere concesso dall’alto ma che deve essere sempre conquistato dal basso, dalla gente comune e da coloro che lavorano. Questa è l’essenza dello slogan di Bernie Sanders “Not Me, Us” ed è per questo che se anche la sua campagna ha avuto fine l’8 aprile, il suo movimento mira a essere qualcosa di più ampio che resisterà nel tempo per costruire una nazione migliore.

La campagna elettorale di Sanders si arresta dopo un andamento che potrebbe essere definito “a montagne russe”. Il senatore, infatti, nella prima fase delle primarie era emerso come il vero e proprio front runner della competizione avendo vinto in New Hampshire e Nevada ed essendo arrivato secondo nel caucus dell’Iowa.

Con la vittoria di Biden in South Carolina, si è assistito al punto di svolta nell’andamento delle primarie. Staccando di quasi 30 punti Sanders, Biden è riuscito a rivitalizzare la propria candidatura alla vigilia del Super Tuesday e a rianimare la sua campagna elettorale che già veniva data per spacciata da alcuni osservatori.

In occasione del Super Tuesday, in cui sono andati alle urne 14 Stati nella stessa giornata, Senders riuscì a conquistare la maggioranza dei voti in California (Stato che metteva in palio il maggior numero di delegati), Vermont, Colorado e Utah mentre tutti gli altri Stati vennero vinti da Biden. La corsa per la nomination democratica si era così trasformata in una sfida a due, con Biden in testa.

La vittoria nello Stato del Midwest del Nord Dakota fu la sola per Sanders nella settimana successiva al Super Tuesday. Nelle primarie del Michigan, che si svolsero lo stesso giorno, il 10 marzo, egli perse con il 36% a fronte del 53% del suo sfidante.

In queste primarie democratiche il senatore ha perso importanti Stati che invece l’avevano sostenuto contro Hillary Clinton nel 2016: Michigan, Oklahoma, Minnesota, Idaho e Maine che sono tutti andati a ingrossare il conto dei delegati di Joe Biden. Allo stesso tempo California, Iowa e Nevada, che nel 2016 sostennero Clinton, sono passati dalla sua parte.

Nel corso di queste primarie pare che Sanders non sia riuscito ad attirare il voto della comunità afro-americana, indispensabile per il candidato democratico alla presidenza e che i più giovani, e la cosiddetta generazione Z, che costituiscono lo zoccolo duro che lo sostiene, pare non si sia recato alle urne in massa come ci si aspettava.

Nonostante tutto, la piattaforma programmatica sanderiana rimane una delle proposte politiche più riconoscibili e fedeli a sé stesse dal periodo di Obama in poi.

Sanders si definisce un “socialista democratico” da sempre, sin dai tempi di Burlington, quando nel 1980 avanzò la propria candidatura a sindaco del centro abitato più popoloso del Vermont, in piena Guerra fredda. Le sue idee politiche possono riassumersi in una vocazione al socialismo sul modello scandinavo con l’aumento del salario minimo a 15 dollari all’ora, aumento delle tasse sulle persone e imprese più ricche, creazione di un sistema sanitario universale e nazionale, gratuità di tutte le università pubbliche, lotta al cambiamento climatico e non interventismo in politica estera.

Tutti punti programmatici che condivide con la rappresentante del 14esimo distretto di New York alla Camera, Alexandria Ocasio Cortez, che infatti ha deciso di sostenerlo lungo tutta la sua campagna elettorale.

Inoltre, una delle peculiarità della campagna elettorale di Sanders, oltre ai contenuti, che vengono spesso definiti “radicali e irrealizzabili”, facendogli valere secondo alcuni commentatori l’epiteto di “populista di sinistra”, è la modalità con cui il senatore ha raccolto i suoi fondi. Per il 75% i soldi della sua campagna elettorale sono stati raccolti grazie a donazioni inferiori a 200 dollari provenienti dalla base elettorale e per l’1,16% grazie al contributo dei PACs.

Così facendo Sanders è riuscito a diventare il candidato democratico che a gennaio 2020 aveva raccolto più fondi, superato solo dai miliardari Tom Steyer e Michael Bloomberg.

Quando si parla di Sanders si fa spesso riferimento a due cose. La prima è il suo carattere burbero da lui stesso riconosciuto durante un’intervista: «Non sono il tipo che ti telefona quando arriva il tuo compleanno, lo so che le persone sono molto felici quando lo faccio ma non è il mio stile».

Il secondo è la sua “rivoluzione politica”, come se votare Sanders equivalesse a votare per la rivoluzione comunista negli Stati Uniti. In realtà, come la sua vita e la sua esperienza politica dimostrano, egli è un uomo molto concreto che è stato coerente con sé stesso durante tutta la sua attività politica.

Nato a Brooklyn nel 1941, figlio di genitori ebrei di origini russe e polacche, visse la propria infanzia nel quartiere di Midwood dove frequentò le scuole elementari e medie. Durante l’adolescenza frequentò la James Madison High School, dove concorse nella sua prima competizione elettorale: quella per diventare rappresentante d’istituto, che perse.

Successivamente si iscrisse all’Università di Chicago dove, per sua stessa ammissione, non eccelse particolarmente perché impiegava tutto il proprio tempo partecipando alle assemblee dei comitati studenteschi di sinistra. In quegli anni egli aderì all’affiliazione giovanile del Partito Socialista d’America e fu attivo nell’ambito del movimento per i diritti civili degli afroamericani.

Tra i suoi miti vi era all’epoca Eugene Victor Debs, un politico che si era candidato per 5 volte alla presidenza degli Stati Uniti con il partito socialista, sul quale, nel 1979, incentrerà un documentario intitolato: Eugene V. Debs: Trade Unionist, Socialist, Revolutionary, 1855–1926.

Il documentario su Eugene V. Debs realizzato da Sanders nel 1979, disponibile su Spotify

Sanders considera Debs ancora oggi un suo eroe personale e, nell’introduzione del suo documentario, sembra lamentarsi di come la maggior parte degli americani non sappia nemmeno dell’esistenza di Debs, ma conosca invece personaggi illustri come Wonder Woman.

Finita la fase dell’educazione universitaria Sanders fece vari lavori, tra i quali il falegname, poi decise di trasferirsi in Vermont dove, nel 1980, si candidò a sindaco di Burlington, una cittadina di 42.000 abitanti, sfidando il candidato democratico, Gordon Paquette in carica da 10 anni, e vincendo.

Una delle sue principali promesse elettorali, mantenuta poi una volta eletto, fu quella di bloccare il progetto edilizio di Antonio Pomerleau per una serie di alberghi, uffici e residenze di lusso sul Lago Champlain, che venne invece riqualificato creando parchi, piste ciclabili e spazi pubblici. Egli dopo 4 mandati come sindaco di Burlington decise di non ricandidarsi nel 1989.

Nel 1990 un Sanders 49enne venne eletto alla Camera come indipendente e l’attacco dell’articolo del Washington Post, pubblicato l’11 novembre dello stesso anno, recita: «In un anno elettorale in cui molti americani hanno apparentemente deciso di dare ai bricconi un’altra chance, gli elettori in Vermont hanno rotto con lo status quo ed eletto un nuovo membro al Congresso, Bernie Sanders, che non è solo un indipendente ma anche un socialista».

L’articolo continua sciorinando le posizioni di questo ex sindaco che si definisce contrario all’ «l’1% della popolazione che ha visto raddoppiare il proprio reddito» e che invece vorrebbe le persone al Congresso più sintonizzate sui bisogni degli americani ordinari.

Nel 2007 divenne senatore per lo Stato del Vermont prevalendo sul repubblicano Richard Terrent.

Poi, con lo slogan “A future to believe in” si presentò alle primarie democratiche del 2016 contro Hillary Clinton, perdendole con il 43% dei voti.

Infine, mercoledì 8 aprile, Sanders ha chiuso la propria campagna elettorale e, in un video messaggio dalla sua casa di Burlington, ha ringraziato i suoi sostenitori per averlo aiutato a creare una campagna politica dal basso che ha avuto un profondo impatto nel cambiamento della nazione.

Inoltre, ha voluto ringraziare «i 2 milioni di americani che hanno contribuito finanziariamente alla campagna e mostrato al mondo che si può mandare avanti una campagna presidenziale indipendente dai ricchi e dai potenti».

Tra i messaggi di sostegno apparsi a seguito dell’annuncio spicca quello della sostenitrice e astro nascente del Partito democratico, Alexandria Ocasio Cortez, che in un post Instagram, tra le altre cose, ha scritto: «Grazie di combattere per noi sin dall’inizio e da tutta la tua vita».

https://www.instagram.com/p/B-vSKJBAyg8/

Ora la questione è che i sostenitori di Sanders non accetteranno supinamente di farsi rappresentare da Biden a meno che questi non integri il proprio programma con qualcosa dell’agenda progressista di Sanders come l’aumento del salario minimo a 15 dollari all’ora, l’assicurazione sanitaria universale fornita dal governo per rimpiazzare le compagnie assicurative private e le università pubbliche gratuite.

Se c’è infatti una cosa che hanno dimostrato queste primarie è che, sebbene Sanders non sia riuscito a vincere la nomination, sempre più democratici non vedono più queste proposte come “radicali” o “irrealizzabili”. Basti pensare- come nota Ryan Nobles della CNN che ha coperto la campagna politica di Sanders- che il senatore del Vermont è passato in 5 anni dall’essere un illustre sconosciuto membro del Congresso, a essere qualcuno che nonostante tutto ha lasciato un segno nella politica democratica, creando un grande movimento dal basso.

Un’altra questione aperta è chi sceglierà Biden come sua vice presidente. In occasione di uno degli ultimi dibattiti televisivi con Sanders, egli ha annunciato che avrebbe scelto una donna come sua vice. Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli Stati Uniti per La Stampa ha chiarito, in una precedente intervista a Zeta, quali potrebbero essere i nomi in lizza.

Secondo un ragionamento basato sulle comunità che un determinato candidato piuttosto che un altro potrebbe accontentare, Mastrolilli sottolinea come con gli afro-americani Biden abbia un debito di gratitudine e come siano stati una componente fondamentale nella vittoria di Obama e nella sconfitta della Clinton nel 2016.

Da questo punto di vista la scelta più evidente sarebbe Kamala Harris, la senatrice della California, che avrebbe lo svantaggio tuttavia di provenire da uno Stato roccaforte dei democratici e che quindi voterà sicuramente per Biden a novembre.

L’altro criterio possibile, infatti, per la scelta della vice è quella che riguarda gli Stati o il gruppo di Stati che si intende ingraziarsi attraverso la nomina. I cosiddetti swing states (che non sono roccaforti né democratiche né repubblicane), tutti concentrati nel Midwest come Winsconsin, Michigan, Ohio e Iowa, potrebbero venir convinti a votare per Biden se alla vicepresidenza ci fosse Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota ed ex candidata alla nomination democratica come la Harris.

Infine, altri nomi papabili potrebbero essere quelli di Kirsten Gillibrand, senatrice dello Stato di New York, oppure la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer che campagna per Biden. Un’altra candidata potrebbe essere Stacey Abrams, considerata una stella nascente nel partito, che nel 2018 ha perso di poco le elezioni per il governatorato dello Stato. La Abrams (46 anni) rappresenterebbe un importante contrappeso generazionale nel ticket e aiuterebbe Biden nell’attirare i voti dei democratici più giovani, così come degli afroamericani. La sua giovane età potrebbe però rivelarsi un’arma a doppio taglio visto che, secondo alcuni analisti politici, l’elettorato non la vedrebbe bene nel succedere a Biden in caso di impedimento di quest’ultimo a portare avanti i suoi impegni presidenziali.

Un discorso a parte va fatto per la senatrice Elizabeth Warren. Secondo Paolo Mastrolilli la Warren- schierata su posizioni politiche più progressiste di Biden- «rischierebbe di portare il ticket troppo a sinistra facendogli perdere i voti dei moderati che conquisterebbe fra i liberal». Tuttavia, alcuni analisti politici hanno visto in un tweet di Obama, che elogiava il piano con cui la Warren vorrebbe che il governo federale rispondesse alla pandemia, un endorsement verso la senatrice del Massachusetts.

Obama ha molta influenza sulla campagna elettorale di Joe Biden ed è da escludere che questo “cinguettio” sia rimasto inascoltato.