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Esclusiva

Aprile 24 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Settembre 25 2021
Pubblico e privato: un gioco sporco con vincitori già scritti

Nel suo quarto webinar con la redazione di Zeta Roberto Saviano racconta cos’è il giornalismo oggi e ci accompagna lungo il confine tra pubblico e privato, su un terreno scivoloso in cui la menzogna è un’arma alla portata di molti

«Prima viene la delegittimazione personale, poi ti colpiscono sul piano economico e solo dopo dal punto di vista politico. Basta far circolare la voce che hai messo le corna o che hai problemi con il fisco, e se il fango non colpisce si passa all’attacco politico». Roberto Saviano è un fiume in piena, parte da una storia e lega esperienze e concetti. Segue un percorso che parola dopo parola apre nuovi mondi e prospettive inedite. Nel suo quarto webinar con la redazione di Zeta lo scrittore napoletano racconta cos’è il giornalismo oggi e ci accompagna lungo il confine tra pubblico e privato; su un terreno scivoloso in cui la menzogna è un’arma alla portata di molti.

Gli attacchi personali e la delegittimazione del nemico sono pratiche antiche, in politica e nel giornalismo. Cosa le rende tanto pericolose?

«Siamo abituati alle piccole vicende di casa nostra ma il fango montato ad arte può avere grosse conseguenze. Rappresenta una parte importante della storia di tanti giornalisti perseguitati e uccisi per il proprio lavoro. Penso a Daphne Caruana Galizia e ad Anna Politkovskaja. Alla prima, uccisa a Malta tre anni fa, venne sospeso lo stipendio in seguito alle querele ricevute. Ricevette intimidazioni: le vennero sgozzati i cani e la sua porta di casa fu data alle fiamme. Venne messa in giro la voce che il marito fosse finanziato dai “nemici di Malta”. Il governo socialdemocratico creò un clima ostile nei suoi confronti».

Pubblico e privato: un gioco sporco con vincitori già scritti
La giornalista maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa nel 2017

E Anna Politkovskaja?

«A lei è andata forse peggio. Dopo il suo omicidio venne definita “non così influente” da Vladimir Putin. Anna ha vissuto con il terrore della delegittimazione: venne a sapere di un progetto per rapirla e far uscire sue foto pornografiche sui giornali di gossip e fu avvelenata dai servizi russi. Da lì la caduta verso la solitudine e la crisi nervosa».

Avvertimenti e delegittimazioni che vengono portati avanti anche dai giornalisti.

«Accade molto spesso, anche in Italia con episodi che passano inosservati. Poche ore fa Dagospia ha ripreso un video in cui Salvini, rispondendo a una domanda su Instagram, dice di non aver mai “pippato cocaina”. Perché un sito del genere pubblica la notizia? Forse per insinuare il dubbio o per mandare segnali a qualcuno? Quando leggiamo un articolo è importante decrittarne i messaggi: è scritto per il pubblico, per una persona citata o per qualche altro gruppo d’interesse? Il giornalismo di Daphne e di Anna era molto diverso: con i loro articoli mandavano segnali – soprattutto se non avevano le prove delle loro accuse – ma non era gossip, era giornalismo d’inchiesta».

Qual è la differenza tra il loro lavoro e molte inchieste che si fanno in Italia?

«Loro non attaccavano ogni giorno Putin o il governo maltese come se facessero delle estorsioni, pratica comunissima in Italia. Leggendo i loro articoli si rischia di confonderli con articoli italiani che mirano all’aggressione del personaggio, ma la grande differenza tra inchiesta e gossip sta nel metodo: rivelare un dettaglio scabroso di un personaggio pubblico è solo gossip se quel particolare non è inserito in un contesto più ampio e rilevante. Anna non ha mai raccontato vicende private di Putin slegate dal suo ruolo politico: bisogna sempre chiedersi se un comportamento privato ha o non ha conseguenze sulla sfera pubblica».

Pubblico e privato: un gioco sporco con vincitori già scritti
La giornalista russa Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006

Ma i personaggi pubblici sanno di correre dei rischi. Come possono pensare di non essere scoperti?

«Questo è vero, ma non significa che si debba pubblicare qualsiasi cosa li riguardi. Quando raccontai il bunga bunga di Berlusconi mi interessavano solo i comportamenti che potevano avere implicazioni politiche. Ricordate quando Hollande venne fotografato mentre usciva dalla casa di un’attrice francese? Dopo un iniziale smarrimento la stampa d’oltralpe abbandonò quella storia. Può essere dovuto a una certa deferenza nei confronti del potere, ma io apprezzo questo modo di coprire – e non coprire – la vita privata. In Italia sarebbe stato impensabile».

Ma questi dettagli non aggiungono qualcosa, non aiutano a raccontare il personaggio?

«Capisco che le vicende private siano esplicative del contesto o di un ambiente, ma molto spesso pubblicarle è solo una forma di ricatto, di manipolazione. Penso alle tante inchieste della destra americana sulle supposte amanti di Obama o al presunto video hard della figlia di Bush. Diversa è la storia dell’omosessualità della figlia di Dick Cheney. In quel caso l’elemento politico era presente: il vice di Bush era un politico di ultradestra contrario ai matrimoni gay. Il mio interesse è per l’intimo delle persone, non per il loro privato. Se un boss viene trovato a letto con un uomo lo racconto o no? Dipende, il confine è molto sottile: se in passato si era comportato in modo omofobo, allora ho un motivo per raccontarlo».

In un simile contesto come bisogna muoversi? Sembra che più si è normali e più si è vulnerabili.

«Purtroppo vince chi ha un’immagine così negativa da essere inattaccabile. Chi conduce una vita normale, tra mille contraddizioni come tutti, risulta molto più fragile. Politici che si presentano spontanei, senza regole, sono quasi immuni alla delegittimazione. Il padre di Trump era legato alla mafia e Donald regge il suo impero di casinò con soldi russi. Elementi su cui i suoi rivali politici hanno puntato poco: hanno poca presa sul pubblico americano. Al contrario, anche le più piccole accuse e incertezze pesavano come macigni sull’immagine di Hillary. In questa fase tutto ciò che distrugge, in politica e sui giornali, è visto come nutriente, mentre tutto ciò che costruisce appare debole e senza spina dorsale».

Pubblico e privato: un gioco sporco con vincitori già scritti
Donald Trump, presidente degli Stati Uniti

Una tendenza che mette in difficoltà la sinistra e aiuta la destra populista. Cosa ne pensi?

«Il lettore e l’elettore medio percepiscono come autentico ciò che è rivolto al profitto, all’affermazione di sé. Se in tv dici che i politici sono tutti ladri ottieni applausi, se dici il contrario sei un paraculo; la gente si chiede chi ti paga. Allo stesso modo le Ong sono accusate di essere finanziate da Soros quando in realtà a essere pagato dalla Russia è chi le attacca. Mi sembra che a un certo punto la crudeltà, l’aggressività e il sarcasmo siano diventate carte vincenti: è il meccanismo dietro il successo di populisti come Trump, Orbán e Salvini. Ora la vera battaglia politica è invertire la rotta, ridare autorevolezza a sogni e progetti».

C’è un momento preciso in cui si è sdoganato questo modo di pensare?

«Di certo la nascita del web ha cambiato le cose. In passato prima di arrivare sui media autorevoli dovevi fare una sorta di profilassi: chi aveva un certo tipo di linguaggio o di comportamenti, un rapporto non rigoroso con la democrazia, difficilmente poteva accedervi. Il web ha tolto la mediazione e quindi il controllo. Il presidente degli Stati Uniti può twittare qualcosa e poi negarlo, mentre anni fa non sarebbe accaduto: per essere considerato autorevole dovevi argomentare le tue posizioni, convincere l’altro anziché umiliarlo. In America ciò si è rotto prima che altrove e si è diffusa l’idea che i personaggi pubblici sono sempre sotto i riflettori; sottoposti a un continuo processo in cui vincono sempre i peggiori».

Che armi ci sono per difendersi da questo meccanismo? Tu personalmente come reagisci?

«Sono attacchi che ho sperimentato sulla mia pelle. L’ultima inchiesta giornalistica che hanno condotto sulla mia vita è durata sei mesi. Hanno fatto domande alle mie ex e ai miei familiari alla ricerca di piccoli indizi che, se ingigantiti, ti fanno sembrare un mostro. Non credo ci si possa difendere: rispondere direttamente alle accuse spesso le rinforza, la saggezza consiglia di andare avanti per la propria strada. L’importante è non fermarsi, con il tempo contano i tuoi comportamenti reali. Ma ci sono molte trappole, c’è chi con la scusa di difenderti rilancia le voci contro di te. E poi c’è chi è dalla tua parte e ti protegge davvero, amici di cui non potrai più fare a meno».