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Esclusiva

Aprile 25 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 1 2020
Il venticinque aprile di Zeta

Nella festa della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo la redazione di Zeta ha pubblicato i ricordi e le sensazioni personali di ciascun redattore quando si pensa al 25 aprile e alla Resistenza dei partigiani italiani. Un ricordo condiviso della Liberazione

“Una mattina mi son svegliato…” Cominciava così la canzone che mia madre Adele, staffetta partigiana, mi cantava quando ero piccolo, e quando finalmente l’ho imparata la cantavamo spesso insieme. E così ieri mattina mi sono svegliato e sono sceso all’edicola sotto casa, con guanti e mascherina, per comprare la bandiera, il Tricolore, allegata ad un quotidiano. Il tricolore da appendere al balcone di casa per festeggiare il 25 aprile, la festa della Liberazione, la festa più importante per noi italiani. Perché ricorda la rinascita di un popolo, perché ha rappresentato il punto di partenza per la ricostruzione di un Paese provato da anni di dittatura e devastato da una guerra tremenda.
Sono passati 75 anni, ma se oggi, in un momento così drammatico, possiamo discutere con assoluta libertà di tutela della privacy, di come rilanciare l’economia, salvaguardando i diritti dei più deboli, di come far prevalere la solidarietà sull’egoismo, come garantire uguaglianza di genere lo dobbiamo a chi allora si è battuto per restituire al nostro paese onore e dignità, pagando prezzi altissimi per fare a un popolo in ginocchio il regalo più grande: la democrazia. Si è parlato di festa divisiva, di faziosità, di discriminazione. Si dice che i giovani di oggi non sanno più di che festa si tratti, si chiedono perché sia necessario ricordare quei ragazzi che, come diceva una canzone con le parole di Italo Calvino, cercavano “oltre il ponte tutto il bene del mondo, la vita”.
La risposta è semplice, perché quei ragazzi e quelle ragazze di allora forse non avranno trovato tutto il bene del mondo, ma certo ci hanno indicato la strada per fare rifiorire la vita e offrire un futuro di libertà. – Giorgio Casadio

«Per me il 25 aprile sono i racconti di mia nonna sulla guerra. A quei tempi non era ancora adolescente e già doveva prendersi cura dei figli delle sue sorelle maggiori: procurargli da mangiare, metterli al riparo nei rifugi antiaerei durante i bombardamenti e fargli da madre, nonostante avesse pochi anni più di loro. Suo padre rischiò per un soffio di andare a finire nelle Fosse Ardeatine e, negli anni, si è dovuto inventare mille modi per mettersi al riparo dalle angherie dei fascisti. Per me il 25 aprile sono quegli eventi raccontati attraverso gli occhi di quella bambina che continuavano a riempirsi di lacrime quando, ormai anziana, li raccontava ai suoi nipoti. Non ha mai smesso di ricordare i dolori subiti durante la guerra eppure la gioia di quel giorno, di quel 25 aprile 1945, è tutta riassunta nel suo nome: Vittoria». – Claudia Chieppa

«Sarò onesto, per me il 25 aprile non è altro che una festa, da quando sono bambino. La memoria storica probabilmente passa attraverso l’eredità dei genitori. Io ero il bambino, poi l’adolescente, che andava al mare. Mentre i miei amici più attivi manifestavano, io volevo godermi il sole, l’acqua. Qualcuno mi ha dato del fascista, ma io mi sentivo solo una persona superficiale tanto che, pur di non essere additato come tale, nell’età più dura della vita, l’adolescenza, ho pensato davvero di esserlo, un fascista. Ricordo che, una volta, disegnai una croce celtica sul mio libro di storia, avrò avuto 15 anni, non avevo idea di cosa significasse: ricordo che mio nonno, che mi aiutava a studiare, la vide e si arrabbiò così tanto che me la fece cancellare con la gomma. Ma siccome era fatta a penna, finii per bucare la pagina. Io non avevo idea di cosa significasse quel simbolo: lui mi ha guardato e mi ha semplicemente confortato, “è normale”, mi ha detto. Mi ha raccontato di quando, con sua madre, si chiudevano nello scantinato di un appartamento a San Lorenzo, aspettando che i tedeschi finissero di bombardare.
Non sono mai stato fascista: mi sentivo solo inferiore a chi aveva una coscienza politica. Mi sentivo diverso, rivendicavo la mia libertà, la mia liberazione dalla dittatura dello stereotipo. Ecco allora forse il 25 aprile, per me, è l’occasione di riflettere sulle divisioni, senza paura. Perché non siamo poi così diversi e forse ci sono anche persone come me, (forse più di quelle che si crede), che sono rimaste il me adolescente, senza la fortuna di avere avuto un nonno che bacchetta loro le mani. Ammettere una debolezza può essere lo stimolo per crescere, come sono cresciuto io che oggi, 25 aprile, mi penso a quindici anni, intento a bucare un foglio per cancellare una celtica, con le lacrime agli occhi». – Simone Di Gregorio

«Per me il 25 aprile è chitarra e vino rosso. È il corteo. È la piazza. È una bandiera che svetta su migliaia di persone. 25 aprile è entusiasmo che supera la stanchezza della notte insonne passata ad organizzare le manifestazioni e gli eventi pubblici. È festa con gli amici per non dimenticare che la forza del pensiero critico può battere ogni dittatura». – Chiara Sgreccia

«La liberazione è per me la voce del mio professore di storia e filosofia del liceo: interrompeva il programma, prendeva le parti di chi perse la vita in quei giorni della resistenza e spesso si commuoveva. È diventato la mia coscienza e ancora oggi ricerco le sue spiegazioni per non perdere la memoria di ciò che è stato». – Martina Coscetta

«Come festività mi è stata lontana a lungo, anche perché pensavo che festeggiavamo la liberazione da noi stessi, noi italiani fascisti. Da pochi anni a questa parte l’ho rivalutata. Forse sono i tempi che stiamo vivendo ad avermi avvicinato all’anniversario della liberazione. Il clima si è caricato di intolleranza e inquietanti nostalgie, e sono contento che il Paese ricordi che c’è stato un giorno in cui siamo riusciti a liberarci da quel regime di cui oggi in troppi sentono la mancanza. Nel mondo ci sono ancora tante ingiustizie commesse da popoli invasori a scapito di paesi più deboli: oggi ricordo anche loro». – Fadi Musa

«Il 25 aprile è stata la prima volta in cui mio nonno ha mangiato la cioccolata. Mi raccontava delle corse sui tetti per scappare dai fascisti, e dei chilometri in bicicletta che lo separavano da quella casa a Cineto, dove lui e altri partigiani si incontravano, e discutevano del domani». – Livia Paccarié 

«Per me il 25 aprile si festeggia la liberazione. Non è una cosa scontata se nasci in Veneto. Chi nella regione vuole negare il valore della resistenza, dice che il 25 aprile si festeggia San Marco, patrono di Venezia. Per me è stata la nostra primavera nazionale, un periodo storico che può essere dimenticato per il suo lascito. Specie in una terra che ha subìto il peso della guerra». – Mattia Giusto Zanon

«Il mio 25 aprile è il volto di Zio Nino, fratello di mio Nonno Camillo morto troppo presto. Zio Nino fu obbligato a partire per la Grecia a 17 anni per combattere per conto di Mussolini in quella che poi si rivelò una delle spedizioni più tragiche per l’esercito italiano. Riuscì a scappare dalle prigioni tedesche grazie a una famiglia greca che lo nascose per un anno nella cantina di casa. “Il fascismo è stato fame e distruzione”, diceva Zio Nino quando mi raccontava della paura di essere catturato da soldato italiano sconfitto e fucilato da partigiano rifugiato. Oggi porto il suo orologio al polso. È grazie a lui se so da quale parte stare». – Camillo Barone

«Per me il 25 aprile è una presenza discreta, non un’assenza ma neanche il contrario. Non c’è un’immagine forte che associo subito a questa data, il pensiero non è immediato. Vengo dal Trentino, una terra che ha vissuto con poca partecipazione la Resistenza e la Liberazione; da noi è più forte il ricordo della prima guerra mondiale. Chi mi circonda ha sempre interpretato il 25 aprile come un giorno di festa o poco più, e anch’io non sono andato oltre una pigra adesione: una vicinanza culturale ed emotiva ai principi della Resistenza che però non sfocia in forme di attivismo o in un vero legame con quei giorni. Mi pare che i veri nemici non siano revisionismi o negazionismi ma l’indifferenza che si insinua in silenzio. L’estraneità geografica o familiare e l’usura di simboli e immagini ci fanno dimenticare che quella storia è proprio la nostra». – Enrico Dalcastagné

«Questa data è per me tutta racchiusa in una canzone, Bella Ciao. Facevo la seconda elementare, la maestra di italiano entrò in classe e ci chiese «perché domani, 25 aprile, non venite a scuola?», nessuno rispose. Non conoscevamo i concetti di guerra e Resistenza. Lei ci lesse e cantò la canzone dei partigiani, appassionando tutti noi che ascoltavamo in silenzio le storie dei suoi familiari coinvolti nella liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo. Quel ricordo è ancora vivo dentro di me, così come la canzone». – Michele Antonelli

«Quando ero in quarta elementare la mia maestra di storia coinvolse me e i miei compagni in un progetto di memoria sulla guerra e sulla resistenza, con poesie e canzoni che imparammo a memoria e che ricordo ancora oggi. Non ho parenti partigiani, ma mia nonna mi racconta sempre di quando sua madre portava i vestiti lavati e puliti ai partigiani del mio paese che si nascondevano nelle grotte fuori il centro abitato. Sono memorie che ho cercato di custodire per molto tempo e che non potrò mai dimenticare». – Natasha Caragnano

«Per me il venticinque aprile è anche la liberazione della donna. Mi ricorda che per troppo tempo non abbiamo potuto votare. L’emancipazione femminile passa da questa data e dalle azioni di tutte quelle donne che hanno combattuto per la libertà nel senso più ampio del termine. Come Laura Lombardo Radice, Carla Capponi o Stefanina Moro, torturata e uccisa dai nazisti. E poi penso alla donna che sono, ma sopratutto a quella che posso scegliere di essere. Se ho questa possibilità è anche grazie al loro sacrificio». – Angelica Migliorisi 

«Per me la liberazione è contrapposizione. Più che seguire le idee della mia famiglia, ricordando questa data ho deciso di festeggiare una conquista da difendere ogni giorno. Ne abbiamo bisogno, ancora oggi». – Carlo Ferraioli 

«Il venticinque aprile è un giorno dedicato alla difesa dei più deboli. Io sono capo scout, e non posso non ricordare le Aquile randagie, un gruppo scout che nonostante i divieti imposti dal fascismo ha continuato a praticare le sue attività anche sotto il regime, difendendo chi veniva minacciato dai fascisti». – Lorenzo Ottaviani

«Per dire cosa sia per me il 25 aprile vorrei citare Giordano Cadestro, detto Mirco. Partigiano di Parma morto a 18 anni, fu fucilato il 4 maggio d1944 dai tedeschi: “Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro. Luminosa, grande e bella, siamo alla fine di tutti i mali. La mia giovinezza è spezzata, ma sono sicuro che si farà da esempio. Sui nostri corpi, sono sicuro che si farà il faro della libertà”». – Giuliana Ricozzi

«Per me il 25 aprile è soprattutto Bologna, la mia città di origine. È sempre stata una data importante per la vita politica in città. Non mi è mai piaciuto però il carattere divisivo delle manifestazioni. Spero che quest’anno, in tempo di Covid 19, si possa ritrovare l’unità». – Gian Marco Passerini 

«Per me il 25 aprile è memoria storica, nel senso che è utile ricordare chiunque si sia immolato per la libertà della patria. Trovo stupido pensare che la liberazione sia un fenomeno appannaggio di una sola parte politica, perché la Resistenza è stata multicolore. Il Partito d’Azione di Carlo Azeglio Ciampi tutto era meno che una forza di sinistra. Non è la festa in sé il problema, è chi da ambo le parti la strumentalizza». – Francesco Stati

«Per me il 25 aprile sono gli anni delle superiori, i cineforum alle assemblee d’istituto, le lettere dei partigiani condannati a morte, il ricordo di Roberto – partigiano di Bagnoregio, il mio paese – che intervistai per la tesina dell’esame orale della Maturità. Fu la mia prima intervista, mi innamorai del giornalismo. Per me il 25 aprile è ciò che sono oggi». – Gabriele Bartoloni

«Credo che, col 25 aprile, l’Italia si sia liberata dal regime ma non da quella cultura fascista che, nonostante tutto, è sopravvissuta nelle pieghe della società e delle istituzioni. Come una contraddizione irrisolta ha continuato ad albergare la nostra democrazia come habitus comportamentale, se non come forza politica. Di questa cultura della prevaricazione ho imparato ad avere timore come essere umano e come cittadino.
Il 25 aprile ci ha insegnato che donne e uomini di ogni colore politico possono arginare la prevaricazione anteponendo il bene collettivo a quello individuale, scegliendo l’azione all’immobilismo, il sacrificio alla conservazione. Che la politica faccia quello che vuole di questa data ma non menta su una cosa: che la cultura fascista non è sconfitta, e che la libertà in questi giorni di pace rimane sempre in pericolo». – Silvio Puccio

«Mio nonno raccontava sempre che fu la resistenza a salvargli la vita dai tedeschi. Mentre scappava, alcune partigiane lo nascosero alla pattuglia che lo cercava. Grazie a loro si salvò la vita. Quel momento vissuto divenne un ricordo di gratitudine, e quel ricordo lo trasmise a me. Per me il 25 aprile è questo, un modo per rendere grazie a chi ha liberato l’Italia». – Jacopo Vergari

«Il 25 aprile è un’emozione. Penso ai miei nonni bambini e adolescenti, al riparo dalla guerra e poi in festa per la libertà. Ogni anno provo a immaginare cosa debbano aver vissuto, e quanto difficile possa essere stato ricominciare da capo dopo anni di sofferenze». – Elisabetta Amato

«Ogni 25 aprile riapro il mio libro di storia del liceo e rileggo ciò che è successo, spesso approfondendo su internet con le testimonianze dei partigiani che erano lì, sul fronte, quel giorno. Quello in cui io credo è la speranza che solo la memoria storica ci può restituire: è la consapevolezza pratica del pensare che ciò che è successo in quei giorni non dovrà mai più accadere. È la forza che abbiamo ricevuto da chi ha lottato con resistenza per la libertà di tutti». – Erika Antonelli

«Per me il 25 aprile è l’entusiasmo di ascoltare i racconti della mia nonna, in compagnia di una tazza di thè. La prima volta che le ho chiesto di tirar fuori i suoi ricordi, le sue parole sono state «avevo 9 anni quando la guerra è finita. Non ero a conoscenza di ciò che l’Italia aveva vissuto. Abitavo a Scordia e lì stavo bene. Trascorrevo il tempo sempre con la mia mamma, a preparare pasta e dolci». Il 25 aprile non è una semplice data, ma è la ricorrenza di un flashback emozionale che rivivo tutti gli anni con la mia nonna, quest’anno telefonicamente». – Laura Miraglia

«Oggi un mio collega ha detto una cosa molto giusta che sento di voler fare un po’ mia, se lui me lo permette. Ha detto, amareggiato, che il 25 aprile è caduto il regime fascista, ma che la cultura e la mentalità fascista sono sopravvissute e hanno infine trionfato.
Per quel poco che lo conosco, penso di sapere cosa intendesse: credo sia stanco, come me, di chi vive la democrazia come mero strumento di delega e non di partecipazione; di chi rifiuta il dialogo, di chi si sottrae al confronto costruttivo, di chi chiude sé stesso e la società allo scambio di idee. Credo sia stanco, come me, di chi non si fa mai domande, di chi non cede al beneficio del dubbio, di chi accusa senza sforzarsi di comprendere, di chi chiede sempre il massimo della pena, di chi mette chi è diverso alla berlina.
Questo per me è fascismo. Vogliamo raccontarci che non esista più? Perché invece non ci guardiamo in faccia, serenamente, e ci perdoniamo tutti i peccati? A patto però, di non perseverare nell’errore, di imparare qualcosa. Io ho perdonato il Valerio quindicenne che inneggiava a Mussolini, e oggi a ripensarci mi viene da sorridere. La vita sa essere paradossale in certi casi. Ricordo i 25 aprile di quando ero al liceo.
Osservavo i miei compagni, quelli con le idee politiche già chiare e definite, calare una scure di intransigenza e di censura contro chiunque osasse aprire un dibattito, contro chiunque volesse indagare a fondo le radici storiche di quella ricorrenza. Qualcuno lo faceva con malizia, certo, qualcuno per puro interesse accademico, qualcun altro ancora era solo uno studente che si poneva dei dubbi; c’era chi persino, in un impeto di intollerabile umanità, cercava di comprendere le ragioni di quelli al di là della barricata, dei morti di Salò, di quelli dalla parte sbagliata della Storia. Tutti zittiti, tutti mortificati per aver osato aprire bocca.
E così il 25 aprile diventava, ai miei occhi, una ricorrenza priva di senso, intrisa di ipocrisia. Sentivo una rabbia incontrollabile crescere in me, cosa non strana a quell’età. E non penso fosse niente di speciale se decisi di riscattare quell’insulto alla democrazia proclamandomi fascista. Era la voglia di ribellarsi, il gusto di andare contro. Un po’ come l’Alessio di Elio Vittorini nel Garofano Rosso. Però all’epoca non lo avevo letto e non potevo capire. E perdonatemi se rido, ma un difensore della democrazia in camicia nera non si può vedere! Durò il tempo di una stagione, con gli anni tutto cambiò, e la lotta assunse forme diverse.
Mi piace pensare che la rabbia e l’impulsività abbiano ceduto il posto alla riflessione e a un atteggiamento più maturo, ma non sta a me dirlo. Oggi c’è chi mi dà dell’anarchico. Quello che non è mai cambiato però, è l’Italia e con essa gli italiani. È quella mentalità fascista che contagia tutti, come un virus, e la maggior parte di noi sono asintomatici. Quella profonda ipocrisia, mi dispiace ve lo devo dire, la vedo anche oggi, il 25 aprile. Ma non mi va di lasciarci così, con tutta questa negatività. Mi piace pensare che cambiare sia possibile, se ce l’ho fatta io… Dopo esserci liberati del fascismo degli altri, è ora di liberarci del fascismo che è in noi». – Valerio Lento