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Esclusiva

Aprile 25 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 18 2020
Un mosaico chiamato vaccino

La popolazione mondiale è impaziente e chiede agli scienziati di accelerare i tempi. Ma come funziona un vaccino e quali sono i fisiologici tempi di produzione? Tra storia delle malattie infettive, basi di immunologia e aspetti tecnici

Come avrebbe reagito alla notizia Franklin Delano Roosevelt? Il trentaduesimo presidente degli Stati Uniti morì nel 1945, dieci anni prima che lo scienziato Jonas Edward Salk rendesse nota la scoperta del vaccino contro la poliomielite. Appena trentanovenne, questa malattia infettiva di origine virale cambiò per sempre l’esistenza del caparbio leader americano, paralizzandolo dalla vita in giù. Costretto su una sedia a rotelle nel privato, durante le occasioni pubbliche si muoveva in piedi, grazie all’aiuto di un bastone e a due tutori di metallo posizionati alle gambe.

Dalla peste di Atene del 429 a.C. fino al COVID-19 del XXI secolo, immunità e vaccini hanno trasformato la società. Se lo storico greco Tucidide notava come i sopravvissuti alla pestilenza non avessero ricadute, tra Settecento e Ottocento, le scoperte del medico e biologo Edward Jenner sul vaiolo introdussero l’idea del vaccino: si inoculavano nell’organismo sostanze che erano destinate a provocare una reazione di difesa. Nel Novecento la vaccinologia si trasformò in scienza strutturata e multidisciplinare e lo studio del sistema immunitario fu decisivo per la cura delle malattie infettive.

Il nostro corpo è capace di resistere all’azione di microrganismi responsabili di patologie. Ci riesce grazie a una funzione chiamata immunità, che si divide in naturale, una proprietà congenita della persona, e acquisita. Quest’ultima può svilupparsi con la malattia o con pratiche artificiali di immunizzazione, dette passive e attive.

L’immunità passiva utilizza sieri contenenti anticorpi già formati, cioè proteine specifiche che antagonizzano sostanze estranee, sia a scopo di prevenzione che di cura. Si instaura in maniera rapida, ma protegge per un breve periodo di tempo. Ad esempio, il siero antibotulinico è la cura salvavita di una grave tossinfezione alimentare, chiamata botulismo. Il batterio responsabile è in grado di produrre il più potente veleno al mondo, con una dose letale di 0,1 microgrammi (un decimilionesimo di grammo).
La forma attiva si ottiene con un vaccino, costituito da microrganismi uccisi, attenuati (con virulenza ridotta) o da loro componenti. Viene simulato nell’individuo il primo contatto con l’agente nocivo e si evoca una risposta simile a quella causata dall’infezione naturale, senza però arrivare alla malattia e alle sue tragiche conseguenze. Così stimolato, il sistema immunitario seleziona specifiche cellule, che entreranno in azione in caso di nuova esposizione a virus o batteri. È la “memoria immunologica”, che ci permette di ricordare una patologia e di difenderci da essa. Nella maggior parte dei casi la protezione resta permanente, anche se alcuni prodotti richiedono più somministrazioni a distanza di tempo, detti richiami. Ne è una dimostrazione il vaccino antitetanico, che necessita di tre dosi nel corso della vita. A testimonianza della pericolosità della malattia, divenne obbligatorio per i militari di leva già nel 1938.

Un mosaico chiamato vaccino

Tanti si chiedono quando arriverà il medicinale che ci salverà dal Coronavirus. C’è chi conta i giorni e scommette sulla fine dell’anno, chi è rassegnato a una lunga attesa e chi si domanda come distribuirlo all’intero pianeta.

La messa a punto di un vaccino è però procedimento complesso e può richiedere fino a tre anni. Deve rispettare le Good Clinical Practice (Buona Pratica Clinica), le linee guida per raggiungere gli standard internazionali di etica e qualità scientifica. Prima della diffusione in commercio, il farmaco viene sottoposto a un approfondito periodo di ricerca, in cui sono testate la sicurezza, la tolleranza a eventuali effetti collaterali e l’immunogenicità, cioè l’efficacia nel determinare una risposta immunitaria valida.

Per prima cosa bisogna conoscere bene il microrganismo responsabile della malattia. In seguito si procede attraverso sperimentazioni di laboratorio e si decide la composizione qualitativa e quantitativa del vaccino.

La successiva fase preclinica si basa su studi in provetta e modelli animali. Oltre a individuare e isolare l’antigene (la componente capace di stimolare il sistema immunitario), si valutano la tossicità, l’efficacia e la sicurezza su un organismo vivente complesso, come le cavie domestiche. Si procede con lo sviluppo e l’aggiunta di adiuvanti, sostanze che facilitano un’adeguata risposta, mentre stabilizzatori e conservanti mantengono inalterate le proprietà del prodotto.

Un mosaico chiamato vaccino

Una volta definita la formulazione più promettente, si passa ai test sull’uomo (fase clinica). Questo stadio presenta una classica suddivisione in quattro fasi, ognuna approvata e controllata da enti regolatori statali, internazionali e dai comitati etici locali.
Negli studi di fase 1 viene testata la sicurezza del prodotto su alcuni volontari, per valutare la frequenza e la gravità degli effetti collaterali. Alla fase 2 partecipano centinaia di individui e il farmaco potenziale è somministrato in dosi differenti, per proseguire gli studi sulla sicurezza e valutare l’immunogenicità. Durante la fase 3 vengono confermati i precedenti criteri su una popolazione più ampia, composta da migliaia di individui, arruolati in centri di ricerca diversi.

Se i risultati dei test sono in linea con gli standard, viene preparato un dossier da inviare alle autorità competenti, come l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e la European medicines agency (EMA), così da registrare e mettere in commercio il vaccino.

Nella fase 4, o studi post-autorizzativi, il medicinale continua a essere monitorato all’interno della popolazione. L’obiettivo è controllare gli effetti a lungo termine e l’effectiveness (efficacia sul campo), con cui si valuta se il prodotto è capace di prevenire la malattia nelle reali condizioni d’uso.

Durante la pandemia non esiste un percorso codificato, ma gli enti regolatori approvano l’accelerazione delle procedure burocratiche. Ad esempio, snelliscono l’iter di valutazione dei dossier o designano un unico comitato etico nella fase multicentrica dello studio. In alcuni casi, qualora le piattaforme vaccinali fossero già state valutate nello stadio preclinico, si può decidere di non ripetere questo passaggio. Dribblare o abbreviare le fasi di sperimentazione sull’uomo metterebbe a repentaglio la sicurezza. Occorre dunque tempo per calibrare i dosaggi e valutare gli effetti collaterali di un farmaco. Un vaccino può mostrare scarsa efficacia, ma non deve risultare dannoso, perché verrebbe subito bloccato. Inoltre bisogna considerare che nella ricerca non è coinvolta tutta la popolazione. Le persone arruolate sono selezionate con precisi criteri e non rappresentano quindi la collettività più fragile.

Altre problematiche riguardano la produzione su larga scala e la distribuzione negli stati a minor sviluppo economico. Il piano ha bisogno di due elementi cardine: una quantità di vaccino sufficiente per tutta la popolazione e un sistema organizzativo che lo somministri in tempi rapidi e in maniera equa. Servirebbero milioni di dosi, ma nessuna azienda può farcela da sola.

In questo periodo di emergenza Jonas Salk sarebbe stato di ispirazione. Durante un’intervista televisiva del 1955 rispose che non esisteva un brevetto per il vaccino contro la poliomielite, perché apparteneva alla gente. E poi aggiunse: «puoi brevettare il sole?»

Fonti:
-Istituto Superiore di sanità (ISS)
-Agenzia italiana del farmaco (AIFA)