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Esclusiva

Giugno 3 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 4 2020
La Festa della Repubblica e le due piazze senza distanza

Lo striscione tricolore del centrodestra e la rabbia dei gilet arancioni. Il videoracconto delle manifestazioni andate in scena il 2 giugno

Le Frecce Tricolori non fanno in tempo a graffiare il cielo della Capitale che sotto l’obelisco di Piazza del Popolo Salvini, Meloni e Tajani srotolano lo striscione che simboleggia la ripartenza del centrodestra. I leader di Lega e Fratelli d’Italia, a cui si è aggiunto il vicepresidente di Forza Italia, sono scesi in piazza contro il governo nonostante l’appello all’unità pronunciato dal Presidente della Repubblica alla vigilia della festa del 2 giugno. Come nel 1946, «serve anche oggi un nuovo inizio che superi le divisioni», aveva detto Mattarella chiedendo alle forze politiche di restare unite di fronte agli effetti dell’epidemia. E invece quello andato in scena per il 74esimo compleanno della Repubblica è un grande «vaffa» rivolto contro il governo e il distanziamento sociale, lanciato dal centrodestra a trazione sovranista e urlato dai gilet arancioni, esaltati no-vax, no-tax e no-euro.

È metà mattina quando il flashmob organizzato da Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia si trasforma in un maxi assembramento attorno alla fascia tricolore – 500 metri in tutto – portata in corteo dagli attivisti del centrodestra. In testa ci sono Antonio Tajani di FI e Giorgia Meloni di FdI; l’ultimo ad arrivare è Matteo Salvini, che non rinuncia a un bagno di folla tra chi gli urla «grande Matteo, sei l’imperatore di Roma!». Inizia la solita giostra fatta di abbracci, strette di mano e pacche sulle spalle. Tutto a distanza ravvicinata. Poi qualcuno gli fa notare che questo flashmob in realtà ha ben poco di «simbolico»; la piazza è piena di sostenitori, un assembramento in piena regola. «I giornalisti mi sembrano molto assembrati», scherza Salvini dopo il primo giro di selfie. «Matteo lasciali perde ‘sti giornalisti», gli urlano dalla folla. Ma per il leader delle Lega oggi il bersaglio è un altro, il governo Pd-5 Stelle e Giuseppe Conte in primis.

Il corteo avanza su via del Corso e lo striscione lascia poco spazio sui marciapiedi. Tra sostenitori e giornalisti, farsi largo ai lati della strada diventa una vera impresa. Partono i cori contro l’esecutivo, quello che va per la maggiore è un «vaffa» dedicato al premier Conte. «Questa non è una piazza contro qualcuno, è una piazza di italiani», giurano i vertici, ma tra la gente gli insulti al governo sono un mantra che si ripete ogni minuto. Antonio Tajani rimane defilato, forse anche in imbarazzo, le vere star sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Il leader leghista abbassa e alza la mascherina, un gesto nervoso che rivela il fastidio nel portarla. Inizia il secondo round di foto, seguendo un copione ormai consolidato che si ripete a ogni uscita pubblica del «capitano». Solo che stavolta la coda che si crea per fare il selfie con Salvini diventa l’ennesima fonte di assembramento della giornata.

In Piazza del Popolo si vedono anche i primi gilet arancioni, il movimento complottista e antisistema guidato dall’ex generale dei carabinieri Antonio Pappalardo. È la seconda volta che i «forconi» si danno appuntamento, dopo la protesta andata in scena davanti al Duomo di Milano lo scorso 30 maggio. È l’ora di pranzo quando cominciano a radunarsi sotto l’obelisco. Qualcuno indossa l’iconico gilet, ma li riconosci soprattutto per la mascherina abbassata o lasciata a casa. Del resto uno dei punti fermi del movimento è il secco no all’uso delle mascherine, che all’interno della galassia complottista diventano «l’ultimo strumento di repressione usato dal governo». Perché la pandemia «è tutta un’invenzione» o è stata provocata dalla tecnologia 5G: «a Wuhan e in Lombardia ci sono un sacco di antenne», ricorda uno di loro. In ogni caso – e su questo tutti concordano – è certamente il pretesto per «svendere l’Italia alla Cina».

Le telecamere si accendono e ai diversi angoli della piazza ecco tanti palcoscenici aperti a chiunque. La presenza dei giornalisti eccita gli animi, volano parole e qualche spintone. La lucetta rossa infiamma i manifestanti, tutti contro tutto e tutti. Se la prendono persino tra loro: il no-vax è d’accordo con il vegano ma non capisce il no-euro e cosa voglia il no-tax. C’è chi accusa i vaccini citando i pareri di «autorevoli scienziati» e chi invece invoca lo sciopero fiscale. Sul palco improvvisato (un camioncino preso in affitto) sale un tizio vestito da prete che indica una foto di Bill Gates: il fondatore di Microsoft non è altro che «il demonio».

Poi sul palco arriva il generale Pappalardo. In mano ha una «diffida» nei confronti del governo, accusato di attentato alla Costituzione. Ribadisce il no alle mascherine – del resto «la respirazione è sacra» – e predica il ritorno alla lira. Se la prende con Vasco Rossi, che pochi giorni prima lo aveva etichettato come «lo zimbello del web e della politica». «Noi non siamo né di destra né di sinistra, noi siamo il popolo», grida Pappalardo tra gli applausi della folla. Uno slogan già sentito e che insieme al complottismo, i vaffa, le urla, il «tutti a casa», restituisce un’immagine scimmiottata delle piazze del Movimento 5 Stelle delle origini: entrambi nati dalle ceneri di una crisi soffiando sul disagio e sul malcontento diffuso. «Per il coronavirus mi hanno bloccato l’intervento urgente che dovevo fare. Così se non muoio per il Covid muoio per il tumore», racconta senza filtri una signora gentile.