Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Agosto 25 2020
«Due ori gagliardi, a modo mio». Le imprese di Sante Gaiardoni

Nel 1960, ai Giochi di Roma, il veneto vinse due titoli nel ciclismo su pista. La storia delle sue vittorie, dalle campagne della Pianura Padana al velodromo olimpico, dove sfoggiò classe e potenza

«Gaiardò, Gaiardò, viva Gaiardò! Centinaia di persone gridavano fuori dai locali di Via Veneto. Con i bicchieri in mano, brindavano al mio secondo oro. Quella sera di fine agosto, mescolato tra la folla, c’ero anche io a festeggiare. Ma nessuno se ne accorse».

Al telefono la voce di Sante Gaiardoni è divertita. Non c’è nostalgia, solo la voglia di raccontare giorni indimenticabili. Roma 1960, diciassettesima edizione delle Olimpiadi. L’ex ciclista, oggi ottantunenne, trionfa nella velocità e nel chilometro da fermo, specialità regine della pista. Sono trascorsi sessant’anni. Un tempo volato via con la stessa rapidità dei suoi sprint. 

Roma 1960 Gaiardoni
Sante Gaiardoni

Di umili origini, cresce lavorando nei campi di Villafranca di Verona, comune veneto a metà strada tra il capoluogo di provincia e il confine con la Lombardia. A undici anni taglia l’erba con il ritmo di un adulto. Sul terreno accidentato le sue gambe diventano potenti, esplosive. È determinato e spavaldo, non c’è competizione che lo spaventi. Corsa nei sacchi, albero della cuccagna o atletica, è pronto a misurarsi con gli avversari e a batterli, nonostante ogni mattina veda sorgere il sole con la vanga in mano. A scuola non brilla. Sono quasi tutte sufficienze, che stonano con l’unico nove in educazione fisica.

Un giorno il ciclista semiprofessionista Arnaldo Faccioli lo invita per un allenamento. La domenica seguente c’è la Coppa Luciano Bulgari, prestigiosa gara locale. Il colpo di pedale del sedicenne è tale che l’esperto corridore fatica a stargli dietro e finge di sentirsi male. Nonostante la batosta, capisce che il ragazzo ha classe, ma non i soldi per comprare una bicicletta. «A papà dissi di non preoccuparsi, l’avrei pagata io grazie al premio del vincitore. Tutti a ridere. Presto li avrei fatti ricredere».

Dopo diversi successi nei circuiti regionali, viene notato dalla Federazione Ciclistica. I tecnici non hanno dubbi: Sante ha una potenza fuori dal comune, è fatto per la pista. Così il veneto sfoga sulle curve inclinate dei velodromi tutta la rabbia per una gioventù di sacrifici e rinunce. E quando la fiamma olimpica si accende, capisce che Roma è il palcoscenico ideale per la sua rivincita. 

Primo sigillo il 26 agosto, nel chilometro da fermo, dove rifila un secondo e mezzo al tedesco Dieter Gieseler, medaglia d’argento, facendo segnare il nuovo record mondiale. Ma il capolavoro arriva tre giorni più tardi nella velocità. Uno sprint lungo due o tre giri di pista, con gli ultimi duecento metri cronometrati, sintesi di tattica, esplosività e capacità di cogliere il momento giusto. Di fronte c’è un avversario di spessore, il belga Leo Sterckx, «uno che in volata non perdeva mai». Sante non si accontenta di vincere, vuole dominare. L’idea è tanto rischiosa quanto spettacolare: lascia al rivale il vantaggio del cordolo interno, decidendo di passarlo in curva, nonostante la traiettoria più ampia. È una “fucilata”. Le gambe spingono rapide il lungo rapporto e al traguardo il margine è netto. 

Roma 1960 Gaiardoni

È un trionfo. Il pubblico lo acclama, i media televisivi lo aspettano. Ci sono le interviste per il documentario “La Grande Olimpiade”, diretto da Romolo Marcellini. Ma il ragazzo di Villafranca è stanco, vuole solo fare baldoria. Mentre tecnici e giornalisti lo cercano negli spogliatoi, lui è già nelle vie del centro, in compagnia del comico Walter Chiari, fedele amico e conterraneo. Può finalmente liberarsi dalla tensione e respirare l’atmosfera di una Roma in festa. Tra le persone che prendono d’assalto i locali ci sono atleti famosi e rivali a cui offrire da bere. Si brinda ai campioni, alle imprese, alla Città Eterna.

Talento e sregolatezza, con comportamenti spesso sopra le righe. Come a Frattocchie, durante la preparazione ai Giochi. Nella frazione di Marino, a venti chilometri dalla Capitale, la Federazione ha affittato un convento. Sulla Via Appia e i saliscendi dei Castelli Romani Sante stacca gli altri Azzurri, è sempre il primo a tornare nella struttura. Si è messo d’accordo con una suora, che alla fine di ogni allenamento gli prepara un panino con prosciutto e formaggio. Finché un giorno il commissario tecnico Guido Costa lo coglie sul fatto: «Mi diede un calcio nel sedere tale da farmi andare di traverso il boccone. Ancora non capisco come abbia fatto a scoprirmi. Eppure, per non destare sospetti, a pranzo pulivo il piatto senza lasciare avanzi».

Ma le vittorie e la notorietà non cambiano il ragazzo veneto. Quando scende dalla bicicletta è gentile, genuino. Non importa se di fronte ci sia un compagno di squadra o Amintore Fanfani, più volte Presidente del Consiglio dei Ministri. «Un giorno mi invitò nella sua residenza, così gli regalai una Graziella. Volle provarla subito, ma dopo pochi metri si sbilanciò e cadde. ‘Non è nulla onorevole, non è nulla. Sa quante botte ho preso io? Fa parte del mestiere’». 

Roma 1960 Gaiardoni

La carriera di Gaiardoni prosegue con altri successi, su tutti l’acuto del 1963. Nella città belga di Rocourt si laurea campione del mondo nella velocità, ponendo fine al dominio del brianzolo Antonio Maspes. È la rivalità che colora i velodromi negli anni Sessanta, da cui nasce un’amicizia sincera. Il 1966 è l’ultima stagione ad alto livello. Durante la Sei giorni di Milano una banale caduta dalle scale gli procura una frattura dell’ultima vertebra lombare, costringendolo a una lunga pausa. Pur allenandosi con costanza, non recupererà lo smalto dei giorni migliori. 

Terminata l’attività di professionista, lavora in una tipografia e in seguito apre un negozio di biciclette. Tenta anche la strada della politica e nel 2006 si candida a Sindaco di Milano. Vuole rendere il capoluogo lombardo più adatto ai ciclisti e sogna il “Risorgimento” del velodromo Vigorelli, destinato alle partite di football americano. Dopo aver raccolto 1500 firme in mezza giornata, va avanti da solo, rifiutando l’alleanza con la lista della manager Letizia Moratti. Ma i risultati delle elezioni sono impietosi. «Come mio solito, non volevo vincere, volevo dominare. Chiedere aiuto non era nella mia natura, sarebbe stato troppo facile». 

O tutto o niente. Ancora oggi Sante mostra la spavalderia delle prime pedalate, che un giorno aveva attirato l’attenzione di un ciclista ormai a fine carriera: ‘all’inizio ero anche io come te. Ma quale tentativo? Si vince e basta’. Quel corridore aveva scritto la Storia. Morì otto mesi prima che le Olimpiadi del 1960 celebrassero le imprese del ragazzo di Villafranca. Il suo nome era Fausto Coppi.

Leggi anche:

«Che bella l’Olimpiade a casa mia». Giancarlo Guerrini racconta Roma 1960

Un gallo dal canto d’argento. Le Olimpiadi di Primo Zamparini

Sorrisi romani. Il doppio bronzo di Franco Menichelli