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Esclusiva

Dicembre 5 2021.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 22 2021
Silvia Andreozzi

“Viareggio, in te son nata e in te spero morire”, dice Silvia Andreozzi sorridendo mentre cita Mario Tobino, scrittore, poeta e suo concittadino. Ma nel frattempo pensa solo a vivere la sua vita lontana da casa. Ha ventisette anni. E la vita oggi la porta a Roma, alla Scuola di Giornalismo “Massimo Baldini”, dove inizia la sua carriera da giornalista. Prima d’ora l’ha portata a Pisa, poi a Bologna, dove si è laureata in filosofia, discutendo una tesi che ruota intorno a un principio che Silvia tiene molto a spiegare bene: “quando viene meno il riconoscimento giuridico della persona viene meno la sua dignità”.


Silvia confida nella ricerca dei principi e delle origini come metodologia attraverso la quale interpretare la realtà. E mentre i suoi sogni – così come i suoi ricordi – man mano che racconta si fanno sempre più grandi, Silvia non rinuncia a tornare bambina, quando le chiedi di parlarti di Viareggio per raccontarti la genesi della persona che è oggi.

Silvia Andreozzi


Ti racconta della sua famiglia: di una madre sindacalista, di un papà geologo, di un fratello infermiere. Del suo amore antico per il tennis – che guardava in tv fin da piccina, in compagnia del nonno – e di quello crescente per la ginnastica artistica. Del suo impegno come volontaria presso la Scuola Popolare Pancho Villa, che si occupa di contrastare la dispersione scolastica organizzando doposcuola gratuiti per gli studenti del quartiere Varignano.


Ti racconta di quella notte di più di dodici anni fa in cui l’intera città “perse il sonno”, attraversata da un’apocalisse di fuoco, passata alle cronache come “strage di Viareggio”. Nella notte tra il 29 e il 30 giugno 2009 un incendio seguì ad un grave sinistro ferroviario, investendo la stazione di Viareggio e le aree prospicenti e causando la morte di trentadue persone. Silvia ricorda l’angoscia di quelle ore: nessuno nella sua famiglia è rimasto coinvolto, ma ciascuno porta con sé, nella memoria, le “cicatrici” di quella notte indelebile.


Poi ti parla del giorno in cui la città tutta, puntualmente, “ritrova il sorriso”, vale a dire il carnevale, il sempiterno e monumentale Carnevale di Viareggio. Ti presenta Burlamacco e Ondina, le due maschere viareggine per eccellenza. Insieme rappresentano le due stagioni che segnano la vita di chi a Viareggio vive e lavora: il carnevale e l’estate vacanziera. Ed è a questo punto che, con un colpo di scena, Silvia ti confessa di non apprezzare particolarmente Ondina, icona femminile del Carnevale di Viareggio. Se non altro perché si tratta di “una maschera appositamente concepita – così bella e filiforme – al solo fine di compiacere Burlamacco”.

Ciò a dimostrazione di quanto per lei sia sempre fondamentale spiegare le origini di ogni cosa che osserva – finanche di un’iconica maschera viareggina – “perché dentro ogni cosa si nasconde un’idea”. E nei pressi di un’idea, con una penna nera in mano e il suo diario in pelle scura, Silvia Andreozzi promette di fare sempre, fino in fondo, la propria parte.