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Esclusiva

Dicembre 6 2021.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 22 2021
Niccolò Ferrero

“La finestra non l’abbiamo rotta apposta, si era rotta per sbaglio perché ci eravamo spinti durante un’improvvisazione”, con queste parole conclude il racconto di quando, con un collega, hanno deciso di vivere come Dustin Hoffman e John Voight in “Un uomo da marciapiede”. Per alcuni giorni Niccolò Ferrero e l’amico hanno cercato di capire le vite e gli stati d’animo vissuti dai personaggi che dovevano interpretare condividendo la stessa camera, indossando vestiti strani, mangiando schifezze e non facendo riparare la finestra per dormire al freddo.

Fin da bambino amava immedesimarsi nei personaggi che vedeva in televisione o al cinema, perché: “Siccome sono figlio unico, pur avendo tanti amici, a casa giocavo spesso da solo”. È nato a Torino da madre magistrato e padre artista di arti visive. Il primo approccio al lavoro è stato con il padre: lo seguiva nelle città di tutto il mondo, dalla Russia all’America, e lo aiutava ad allestire le opere.

Niccolò Ferrero

Finito il liceo si è trasferito a Roma per studiare recitazione. Dopo aver superato una dura selezione con più di mille candidati e i tre anni di studio al Centro Sperimentale di Cinematografia, si è diplomato. Parlando delle lezioni di logopedia per rimuovere la R francese dice: “La logopedista mi ha adottato”. Viveva con gli altri ragazzi del corso negli alloggi indicati dal Centro e lo studio non si limitava alle ore di lezione: la sera e la notte provavano ruoli, monologhi e recitavano poesie.

Quando gli viene domandato qual è il ruolo che vorrebbe interpretare risponde: “tutti i ruoli sono interessanti, a me piace ricercare, entrare nel personaggio”, ma tra le sue preferenze c’è rappresentare un ragazzo con la R francese “per sfatare il mito del ragazzo snob”.

Mentre studiava al Centro Sperimentale a Roma, si è laureato in Comunicazione, Media e Pubblicità allo IULM di Milano, spostandosi ogni volta per fare gli esami. Anche l’interesse per il giornalismo nasce dal gioco. Racconta di quando era bambino dicendo: “spesso prendevo oggetti trovati in casa, ad esempio una penna, e simulavo la telecronaca di una partita di calcio. Ho sempre sentito il bisogno di raccontare ciò che succedeva intorno a me”.

Nel lavoro vuole unire le sue due passioni e, avendo acquisito una notevole capacità di interagire con la telecamera, vuole mettere le sue capacità espressive al servizio di una comunicazione incisiva e coinvolgente.

“Sarei Mediterraneo di Gabriele Salvatores, perché c’è il viaggio, le passioni, l’amicizia, gli amori, lo straniamento”. Per descriversi ha scelto un film che parla del desiderio di vivere una realtà differente da quella quotidiana, lo stesso desiderio che accompagna da sempre Niccolò.