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Esclusiva

Dicembre 12 2021.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 15 2022
Un nuovo pezzo d’Italia nello spazio. Prime immagini dal satellite IXPE

Grazie alla strumentazione progettata e costruita in Italia ci aiuterà a capire la struttura dei corpi celesti. Ne parlano il professor Bianchi e il dottor Ursini dell’Università di Roma Tre

Il 15 febbraio 2022 il satellite Ixpe ha mandato la sua prima immagine: si tratta di una fotografia ai raggi x di Cassiopeia A, costituita dai residui di una supernova esplosa nel diciassettesimo secolo. La spettacolare foto presenta una forte colorazione magenta che evidenzia l’intensità della luce emessa dalla supernova. Insieme alla mappatura dei raggi x elaborata dal satellite lo scorso gennaio e ai dati sui raggi x che vennero raccolti dal satellite Chandra ormai più di venti anni fa, le nuove rilevazioni permetteranno un’analisi di questo e altri oggetti simili come mai è stata fatta prima.

Satellite Ixpe
Cassiopeia A vista da Ixpe

Il satellite era stato portato in orbita lo scorso 9 dicembre dal razzo Falcon 9 di SpaceX. Si tratta di uno degli ultimi prodotti della collaborazione tra NASA e Agenzia Spaziale Italiana e per i prossimi due anni scruterà lo spazio per studiare i corpi celesti più estremi e remoti, come buchi neri, stelle di neutroni e supernove.

«Era da cinquant’anni che gruppi italiani lavoravano sulla possibilità di misurare la polarizzazione dei raggi X dalle sorgenti dell’universo e dopo anni di tentativi falliti finalmente ci siamo riusciti». A parlare è il professor Stefano Bianchi, docente di astrofisica dell’Università di Roma Tre che ha partecipato al progetto con un proprio team. «Gran parte dei finanziamenti vengono dalla NASA, ma», aggiunge, «devo dire con un certo orgoglio che l’innovativa strumentazione portata in orbita da IXPE è tutta progettata e fabbricata in Italia».

Lo scopo del satellite IXPE (acronimo di Imaging X-ray Polarimetry Explorer) è quello di registrare la polarizzazione dei raggi X dei corpi celesti, ma a spiegarci cosa significhi in concreto è il dottor Francesco Ursini, altro membro del team che analizzerà i risultati raccolti: «Si tratta della prima missione che ha questo intento specifico. La polarizzazione è una proprietà di tutte le onde, in particolare quelle luminose, legata alla geometria della materia che emette la radiazione e studiarla serve a esplorare la struttura degli oggetti celesti. Quello che speriamo di capire è il meccanismo fisico che provoca l’immensa quantità di calore emessa da questi corpi». L’esperimento intende «aprire una nuova finestra astrofisica, al livello della scoperta delle onde gravitazionali», auspica Bianchi.

IXPE è dotato di tre telescopi con rilevatori ideati e sviluppati dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Astrofisica. Si tratta di strumenti ad altissima sensibilità, cinquanta volte più sofisticati di quelli usati finora per studiare il fenomeno, il cui cuore è costituito dai Gas Pixel Detector. Tra gli oggetti che verranno analizzati dal satellite i più interessanti sono i buchi neri super massicci che si pensa siano situati al centro delle galassie, un mistero su cui gli studiosi cercano da anni di fare chiarezza.

Il team di ricerca della missione IXPE
Il Team di IXPE

Nonostante l’arrivo delle prime immagini, è presto per parlare dei risultati. «Ovviamente abbiamo elaborato dei modelli teorici su quello che ci aspettiamo di ottenere», spiegano i due scienziati, «ma è più interessante osservare quando i dati stravolgono le nostre aspettative, perché lì arrivano le vere scoperte». Per il momento si tratta di una missione con fini puramente teorici, senza che siano previste ricadute pratiche, ma il professor Bianchi confida nel potere della ricerca: «Ogni volta che si sviluppano nuove tecnologie possono esserci sviluppi imprevedibili». Il progresso è una ruota che alimenta sé stessa ed è quindi fondamentale investire sulla curiosità, che è di per sé un bisogno umano. «Posso capire i dubbi su investimenti così ingenti quando non c’è un effetto immediato sulle nostre vite», conclude, «ma l’esperienza insegna che se non si investe sulla ricerca di base si blocca completamente l’innovazione».

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