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Esclusiva

Aprile 8 2022
Una nuova maglia per la generazione Z

Dove sta andando l’industria dell’abbigliamento calcistico?

Potremmo avere un problema con le maglie da calcio. La prova definitiva è arrivata all’inizio di questa stagione, quando il CEO di Puma ha dovuto scusarsi con i tifosi del Borussia Dortmund, infuriati perché dalla terza maglia era scomparso il logo del club.

La situazione riguarda ormai tutti i tifosi. La discussa quarta maglia del Milan è solo il caso più recente: in Italia e fuori le divise da gioco sono diventate le tele di designer e pubblicitari. E sono sempre di più. Il limite minimo in Serie A sono due casacche, quello massimo è fin dove ti porta il mercato.

Ma in Italia nessuno ha solo due maglie, e appena nove squadre si “limitano” ad averne tre. Le altre ne hanno generalmente quattro. Caso eccezionale il Napoli, che di divise in questa stagione ne ha presentate ben 12. Una cifra senza precedenti e mal digerita dai tifosi, tanto che sul web è sorto il movimento “A tutela della maglietta del Napoli”, che chiede di difendere la tradizione dagli attacchi dei “creativi”.

Mantenere l’equilibrio

«La richiesta di avere sempre più maglie viene dai brand», spiega Ricardo Fort, esperto di marketing e fondatore della società di consulenza Sport by Fort. «Dato che con i club firmano dei contratti fissi, e molto alti, l’unico modo per avere un ritorno dall’investimento è produrre sempre più linee di abbigliamento». In fin dei conti, se le maglie fossero sempre uguali tutti si terrebbero quelle della stagione prima. «Ma un nuovo disegno, un nuovo colore o una collaborazione con un altro brand può convincerti a fare un altro acquisto».

Non sarà un caso allora se la Juventus, una delle società che in Italia ha sperimentato di più con le proprie divise (oltre ad aver cambiato il proprio logo), è l’unico club di Serie A fra i primi 10 al mondo per maglie vendute. Sono state quasi un milione e mezzo nel 2021 e solo Manchester United, Real Madrid, Liverpool e Bayern Monaco hanno fatto meglio.

Osare troppo, però, non sempre paga, come insegna il Borussia. «Bisogna fare attenzione: il rischio di perdere la propria identità è molto alto. Va conciliata la tradizione con la varietà, perché anche quello che i tifosi vogliono conta. E poi, più aumenta la fantasia, più c’è da essere abili a spiegare ai fan che connessione c’è fra un particolare design e la storia della
loro squadra. Se non si è capaci di raccontarlo, i tifosi non ti seguono. E lì è un problema», continua Fort.

Attrarre la generazione Z

Ma forse le nuove tendenze non dispiacciono a tutti. La maglia da calcio che si mischia con la moda per diventare streetwear ha un target specifico. «È un prodotto che parla alla generazione Z. Ai giovani la maglia interessa sempre di meno, preferiscono comprarsi un paio di sneakers. Per fidelizzarli, allora, serve un capo diverso, che vada bene per giocare, ma anche per andare al cinema, al ristorante. Specialmente la terza, la quarta o la quinta maglia ora è concepita come indumento da passeggio», spiega il dirigente sportivo Giuseppe Mangiarano, ex fra le altre di Inter e Milan.

E dopo la quinta? Come si spiega la scelta del Napoli di andare in doppia cifra? Per Mangiarano è un modo per «combattere il mercato della contraffazione. Non riuscendo a contrastarlo, il Napoli ha adottato una strategia esasperata. L’idea è che se faccio così tante maglie non potrai copiarle tutte. Hanno scelto di farlo anche a costo di essere diseconomico, perché andando oltre le cinque maglie i costi diventano troppo alti e i margini nulli».

Maglie da calcio tendenze: la "Maradona Game" del Napoli
La maglia “Maradona game” del Napoli. Foto: Agostino Gemito / Pacific Press/Sipa USA.

Quanto costa essere tifoso?

Il prezzo medio per una maglia versione replica — pensata per i fan e dunque non prodotta con gli stessi tessuti tecnici usati dai giocatori — è di 85,5€. Le più economiche le hanno Genoa e Salernitana, in vendita a 60€, mentre spende di più chi compra una delle quattro divise del Napoli con il volto di Maradona, al prezzo di 150€.

Il giro d’affari è grande, ma non tutto va nelle casse dei club. I contratti che stipulano con le marche, infatti, prevedono un compenso fisso per le società, a cui si aggiunge una piccola percentuale (sotto il 5%) sul merchandising venduto. StageUp ha calcolato che gli sponsor tecnici hanno portato alle squadre di Serie A 105 milioni solo nell’ultimo anno. Più alta la rendita degli sponsor che vanno sulle maglie: valgono in tutto 230 milioni. Ne consegue che il valore totale delle maglie italiane è di 335 milioni di euro, il 35% in più rispetto al 2020.

Il prezzo per l’ambiente

Gli esperti, dunque, sono d’accordo: più maglie, più clienti potenziali, più entrate. Ma a questa tendenza non dovrebbe corrispondere anche un impatto ambientale maggiore? «Questo dipende dal numero effettivo di maglie prodotte, non dai modelli. Ma è vero che l’industria del fashion ha acquisito una sensibilità che non è ancora riuscita a trasferire al
calcio
», nota Tiberio Daddi, esperto di sostenibilità che collabora con club e federazioni per sviluppare iniziative green.

«I problemi principali sono due», continua. «In primo luogo, se le maglie cambiano ogni anno, cosa succede a quelle che rimangono invendute o nei magazzini dei club? Vengono distrutte? Non possono certo donarle, perché il valore di mercato calerebbe. Questo è diventato un tema persino nelle squadre modeste e nelle scuole calcio, dove cambiavi la tuta solo quando ti iniziava a star stretta e la passavi al fratellino. Ora però anche nelle piccole realtà le collezioni cambiano ogni stagione, perché pure loro vedono i guadagni».

Il secondo problema è che ancora non hanno preso piede dei tessuti sostenibili, a parte iniziative estemporanee ed isolate. «Ma non c’è interesse ad usarli stabilmente. Nel mio lavoro non ho ancora sentito di club e federazioni che si interessino alla produzione di magliette ecosostenibili. E non è una questione economica, manca la sensibilità. È vero, il costo sarebbe maggiore, ma il ritorno di immagine lo supererebbe certamente», aggiunge Daddi.

Non tutti sono d’accordo, però. Ricardo Fort trova che il problema risieda nelle tecnologie a disposizione: «Usando materiali riciclati non si riesce ancora ad ottenere la stessa qualità. I tentativi di fare maglie sostenibili che stiamo vedendo ora vanno presi come dei test. Quando si troverà la formula giusta, che piaccia ai giocatori, al mercato, e che possa creare economie di scala, vedrete che le avranno tutti». Chissà con quale bizzarro disegno.

Vedi anche: La Gallery delle maglie più criticate della stagione