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Esclusiva

Maggio 8 2022
Le storie minime di Luigi Ghirri

Le carezze del fotografo emiliano ai frammenti della campagna e degli oggetti del quotidiano

Nessuno conosce la direzione delle nuvole, ma nel rullino della macchina fotografica Luigi Ghirri ha ghermito gli itinerari possibili del cielo. Inafferrabili, come i volti impressi negli album delle vacanze di famiglia. Totali, come l’immagine della Terra scattata nel 1969 dalla navicella spaziale diretta sulla Luna, che contiene «tutti i film prodotti, le chiese costruite, tutti i libri scritti, i quadri, le foto, le persone», e come gli atlanti, che sintetizzano «la casa dove abito, quella dove sogno di vivere, il posto dove sono nato, i luoghi che vorrei conoscere».

Ghirri nasce nel 1943 a Scandiano, nella provincia emiliana fatta di campagne sbiadite, tiepidi casolari e rivoli inghiottiti dalla nebbia. Affascinato dall’atelier di uno zio pittore e dalle proiezioni cinematografiche, da ragazzo sale in sella alla bicicletta per sviluppare le prime pellicole. Abbandona poi la fotografia per diventare geometra, ma l’amicizia con il circolo degli artisti modenesi e la meraviglia per l’immagine lunare della Terra riconciliano Ghirri con l’obiettivo.

fotografie Luigi Ghirri
Lido di Spina, 1974 ©Eredi di Luigi Ghirri

Le infinite stanze create dall’immagine nell’immagine rievocano nell’artista il pittore di Borges, «che volendo dipingere il mondo, dipinse laghi, colline, e monti e boschi, barche e animali morti e uomini. Alla fine della vita, mettendo insieme i quadri e i disegni si accorge che questo immenso collage costruiva il suo volto». Per Francesco Zanot, curatore e critico fotografico, anche le fotografie di Ghirri sono «frammenti composti da altri frammenti, pezzi di un puzzle troppo vasto per potersi completare» che «coincide con la sua storia, la sua biografia e la sua identità e che quindi, alla fine, rappresenta lui stesso».

Ghirri compie «viaggi domenicali minimi» nel quotidiano e, spiega Zanot, «insiste sull’ordinario e sul banale per posare lo sguardo sulla realtà degli oggetti e dei luoghi ai quali normalmente non facciamo caso». Lo sguardo rallenta sulla bicicletta appoggiata sotto l’insegna rossa di un negozio di parrucchiere, su un gioco desolato di bambini nella spiaggia d’inverno, su un ostinato ombrellone arancione nella calura delle vacanze italiane, e rinnova l’affetto, perché «i luoghi, gli oggetti, le cose o i volti incontrati per caso, aspettano semplicemente che qualcuno li guardi, li riconosca».

Le storie minime di Luigi Ghirri
Identikit, 1979 ©Eredi di Luigi Ghirri

Ghirri scava come Daguerre, padre della fotografia, nel «sentimento dell’origine delle cose», e restituisce come Walker Evans, l’artista più amato, la «“tenerezza” nei confronti del mondo». I libri sognanti di Calvino e di Pessoa, i dischi incantati di Bob Dylan che evocano «tutte le cose belle e pulite della vita, e ripensi e rimpiangi quello che lascerai incompiuto, quello che non farai, le terre che non vedrai», i film di Fellini, Antonioni e Zavattini che raccontano la provincia, i paesaggi di Bruegel che «ricordano lo “stare al mondo”», costruiscono e illuminano la semplicità. «Ghirri si lascia attrarre da ciò che incontra per la strada, all’interno di una pagina della quale esistono già le cornici» spiega Zanot. «Usa le immagini come unità minime di significato, come parole all’interno di una poesia che si ravviva, si estende e innesca una nuova avventura».

L’amore fulminante per Ghirri ha regalato occhi nuovi a Elena Braghieri, fotografa: «Sono scappata dall’immobilismo della campagna, ma grazie al lavoro di Ghirri ho fatto pace con la mia terra di origine. Lui ha cosparso di polverina magica paesaggi per me familiari ma anonimi, che ho rivisto attraverso i suoi occhi». Il circuito della memoria si elettrizza: «Torno indietro nel tempo e rileggo una quotidianità talmente presente da essere invisibile, ricordo i giri sulla bicicletta del nonno per cascine, strade di campagna e fossati, intravedo nel casolare immerso nell’argine del fiume lo Strombolicchio che spezza il mare, e nella passeggiata di una coppia all’Alpe di Siusi sento il fresco delle Dolomiti d’estate». Uno sguardo senza confini al di là di un cancello spalancato su nebbie familiari, personali e collettive.

fotografie Luigi Ghirri
Alpe di Siusi, 1979 ©Eredi di Luigi Ghirri

I ricordi e le memorie «non affondano e spariscono ma sono in ogni angolo, riempiono lo spazio, in un movimento incessante e disordinato», ma «anche i vuoti, cioè i dettagli che non mostra e che lascia intenzionalmente fuori dall’immaginario, parlano» specifica Braghieri. Gli opposti generano la malinconia, originaria dell’umore e della natura emiliani e «cartello indicatore di una geografia cancellata e sentimento della distanza che ci separa da un possibile mondo semplice», e l’imprecisione «della ripetizione indistinta, perché le strade sembrano andare sempre nello stesso punto e quindi da nessuna parte».

I «luoghi illuminati in maniera provvisoria» come una giostra sul mare, i fuochi d’artificio dietro la cattedrale e le barche del porto si confondono con l’ombra di un uomo riparata dall’ombra della fine di un giorno pugliese, con la riservatezza dei vicoli, con le distrazioni della gente. Un mondo a colori, «perché il mondo reale non è in bianco e nero», dove il confine tra realtà e finzione si assottiglia, si amalgama, si irrobustisce e rinasce: «La fotografia mostra sempre quello che noi crediamo già di sapere».

Le storie minime di Luigi Ghirri
Cala Paura, Polignano a Mare, 1986 ©Eredi di Luigi Ghirri

Per Ghirri, che ancora una volta cita Borges, «non c’è niente di antico sotto il sole». Lo ha capito nel 1972 in un giardino di Parigi, quando «nello sterminato numero di possibilità» che la città offre incrocia su una giostra un piccolo oggetto composto da tante clessidre e da una scritta in latino, Niente di nuovo sotto il sole, che misura il tempo felice dei bambini. Anni dopo, tra le pagine di un libro, ritrova la descrizione del misterioso oggetto. Una coincidenza che racchiude tutte le coincidenze del mondo, e che «rinnova lo stupore della meraviglia dell’altro. Credo che questo sia tutto quello che si possa chiedere a una poesia, a un dipinto, a una canzone, a una fotografia».