Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Maggio 28 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 16 2022
«Sogno un Paese in cui i bambini non sono costretti a nascondersi sotto le scrivanie ogni giorno»

Parla la responsabile per il Texas di March for Our Lives, il movimento che ha mobilitato contro la violenza armata milioni di persone negli Stati Uniti

Maddie Lake ha 20 anni, ma vede sparatorie accadere sotto i suoi occhi da quando è alle elementari. Durante l’intervista si ferma spesso per trattenere le lacrime, chiude gli occhi, riprende a parlare. Dall’altra parte dello schermo e della chiamata Zoom c’è un Paese, l’Italia, in cui la sicurezza a scuola e nei luoghi pubblici è data per scontata. Sono passati due giorni dal massacro di Uvalde, a sole due ore di macchina da dove Maddie è cresciuta. Durante la sparatoria, avvenuta all’interno della Robb Elementary School, hanno perso la vita 21 persone, 19 bambini e due insegnanti.

«Non è scioccante che sia accaduto di nuovo. Sapevamo che, visto che nessuna azione di contrasto è stata portata avanti, un’altra strage di massa non era solo probabile, ma quasi certa. Prima di trasferirmi a Houston per l’università vivevo in una comunità molto vicina alla zona di Sant’Antonio, dove si trova Uvalde. Vedere persone vicino a te provare dolore non è mai una bella cosa». 

Maddie è la responsabile per il Texas di March for Our Lives, il movimento formato da liceali, che dal 2018 si batte per la risoluzione del problema della violenza armata negli USA. La prima grande marcia si è tenuta a Washington DC nel 2018, un mese dopo la sparatoria nella scuola superiore di Parkland. Il massacro alla Marjory Stoneman Douglas High School è una strage avvenuta il 14 febbraio 2018 e uno dei casi con più vittime di sparatoria scolastica nella storia degli Stati Uniti. Un mese dopo, il 14 marzo, c’è stata la prima mobilitazione. Nello stesso giorno erano state organizzate 800 marce gemelle in tutto il Paese. Maddie, allora sedicenne, aveva aiutato ad organizzare quella di Houston. Con due milioni di persone in corteo è stata la seconda protesta più grande di sempre e la più grande a livello studentesco nella storia degli Stati Uniti.

Ora il movimento sta organizzando una nuovo appuntamento a Washington, previsto per l’11 luglio, ma dal 2018 molte cose sono cambiate. 

«Sogno un Paese in cui i bambini non sono costretti a nascondersi sotto le scrivanie ogni giorno»

«Quando ho ricevuto il tuo messaggio mi sembrava così surreale che altre persone vivono dall’altra parte dell’oceano vedano il problema, mentre molti americani non riescono a farlo. Questo mi fa arrabbiare moltissimo. Non riesco a nascondere il fatto che sono gelosa delle persone che vivono in uno Stato dove la sicurezza è una realtà, perché questo non vale per me». Nelle parole di Maddie c’è un forte senso di rivalsa e una determinazione non comune per una ragazza che ha appena finito il suo secondo anno di università.

«Sogno di vivere in una nazione in cui i bambini di 10 anni non sono costretti a nascondersi sotto le scrivanie un giorno sì e uno no, dove gli insegnanti non devono imparare come sprangare le porte. Purtroppo non vivo in un posto così. Quindi dovrò lavorare e fare tutto ciò che è in mio potere per cambiare questa situazione e migliorare la nostra società».

Maddie racconta che, quando era alle elementari, nel suo complesso scolastico esisteva un sistema per insegnare ai bambini come comportarsi durante le sparatorie. Sopra le porte c’erano dei grandi bottoni che cambiavano colore: il verde significava che era sicuro trovarsi all’esterno, il rosso, invece, che uscire avrebbe significato rischiare la vita. 

«Quando sei così piccolo e hai 7 o 8 anni, non ti dicono esattamente che cosa sia. Da grande realizzi che cosa significano i bottoni. La minaccia della violenza armata è così interiorizzata in questo Paese che devono inventarsi questi strani modi per tenerci al sicuro. Nonostante tutto mi sento molto fortunata. Mi sembra di vivere dentro una sorta di un videogioco orrendo. Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. Non siamo sicuri nemmeno al di fuori delle scuole perché queste cose succedono anche ai concerti o al supermercato. Sono sopravvissuta ad un solo livello del gioco. È spaventoso».

La politica ora non sta portando avanti azioni concrete per la risoluzione del problema. «Non c’è nessuna iniziativa da parte dei nostri leader. Sono solo idee, slogan, riforme che non vengono mai portate a termine». Maddie racconta che la politica americana sembra limitarsi a fare dichiarazioni di vicinanza quando succedono queste cose, ma senza portare avanti nessuna azione di riforma. Negli ultimi giorni si è parlato di alzare l’età legale per acquistare una pistola a 21 anni. Secondo l’attivista è un inizio, ma non è abbastanza. Spesso gli autori delle stragi comprano da soli le loro armi, ma a volte le prendono in prestito da un amico, da un genitore o le rubano a qualcuno che non le ha nascoste in un posto sicuro. Quindi mettere un limite all’acquisto è un passo importante, ma non è un’azione sufficiente. Il Texas, spiega Maddie, è uno Stato che sta allentando sempre di più le maglie di regolazioni che potrebbero contribuire a salvare molte vite. L’anno scorso è stata approvata una legge che permetteva la circolazione senza permessi di armi. Chiunque poteva acquistare un’arma in Texas e portarla dove preferiva senza bisogno di una autorizzazione. Il giorno in cui l’atto è passato Maddie si era recata al consiglio della capitale per testimoniare contro il provvedimento, portando la sua storia personale, ma era stato tutto inutile.

«Sogno un Paese in cui i bambini non sono costretti a nascondersi sotto le scrivanie ogni giorno»

«C’è un politico che sta provando a diventare governatore dello stato del Texas e che ieri, durante una conferenza stampa con il nostro governatore attuale Abbott, lo ha interrotto per confrontarsi con lui sulla mancanza da parte del nostro governo di portare avanti azioni di riforma per affrontare il problema delle armi. È assurdo che ci aspettiamo il minimo indispensabile da parte della nostra classe politica. Questo nostro rappresentante che si arrabbia e si alza solo per far presente una piccola parte di ciò che vogliamo sembra una cosa così enorme, un successo, quando nella realtà è solo il minimo che ci dovremmo aspettare dai nostri legislatori»

Maddie sospira, ha la voce stanca, sembra affranta e demotivata. «Quando tutto è iniziato avevo solo 16 anni. Continuo a marciare la stessa marcia, ad urlare gli stessi slogan, ma nulla sembra essere cambiato. Dopo Parkland pensavamo che in sei mesi avremmo risolto il problema, che saremmo stati la generazione che avrebbe urlato più forte di tutte, così tanto che non avrebbero potuto fare altro che ascoltarci. Oggi qualcosa è cambiato ma non è ancora abbastanza, magari a livello locale e in Stati in cui la situazione era già migliore in partenza, perché sono più progressisti. Sarà un viaggio ancora molto lungo. Vorrei tornare indietro e dire alla me di 16 anni che non è tutto invano, anche se sembra così, ma che ci vorrà più tempo che soli sei mesi».