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Esclusiva

Agosto 19 2022
«Nessuno vuole le navi col grano ucraino», ma è una fake news

Una narrazione tendenziosa prende a pretesto le vicende del primo carico di grano ucraino per presentare come un totale fallimento le complesse operazioni logistiche e diplomatiche per l’export di cereali

Odessa, partono le navi col grano ma nessuno le vuole” è il titolo di un articolo apparso su nicolaporro.it, il «sito ufficiale di Nicola Porro», vicedirettore de “Il Giornale” e conduttore di Quarta Repubblica su Rete 4. Lo scritto prende a pretesto il rifiuto da parte dell’acquirente del primo carico di grano partito dalle coste ucraine per sostenere che tutte le operazioni logistiche per l’export dei cereali siano un completo fallimento. La narrazione, che sfrutta confusione, incoerenza logica e conclusioni affrettate (oltre che ingigantite), sembra costruita per sminuire gli sforzi diplomatici e gli interventi dei maggiori sostenitori dell’accordo sul grano tra Russia e Ucraina. Nessuna prova fattuale è fornita all’altisonante affermazione nel titolo, ma l’articolo è stato rilanciato da diversi siti e blog come Latinascalo.org, Gurunotizie, CityBolognanews.

“Razoni” si chiama la prima nave con grano ucraino partita dal porto di Odessa dallo scoppio della guerra. Si tratta di un mercantile battente bandiera della Sierra Leone con a bordo 26.500 tonnellate di cereali. Grazie all’accordo raggiunto tra Russia e Ucraina per fare fronte alla crisi alimentare, è salpato il primo agosto verso Tripoli, dopo aver superato le ispezioni dei rappresentati di Russia, Ucraina, Turchia e Nazioni Unite. In Libano, però, il primo acquirente del carico ha rifiutato la consegna per dubbi sulla qualità della merce trasportata, secondo quanto ha affermato l’agente marittimo della nave a Tripoli. Secondo Associated Press, invece, il rifiuto sarebbe dovuto al troppo ritardo nella consegna. Per quanto le delicate operazioni per lo sblocco del grano coinvolgano attori internazionali, infatti, devono comunque sottostare alle regole del mercato. L’ovvio ritardo e i dubbi sulla qualità del grano più vecchio complicano la situazione.

Il 10 agosto, mentre la nave era in attesa di un nuovo acquirente al largo della costa turca, è comparso l’articolo su nicolaporro.it che descrive così la situazione: «ma quella nave, oggi, è ancora in mare, mai arrivata a destinazione. Si trova ferma di fronte a un porto della Turchia meridionale per il semplice motivo che l’acquirente libanese ha deciso di non volere più il carico di merce». Non una parola viene spesa per spiegare le ragioni del rifiuto del compratore o analizzare le possibili soluzioni. Al contrario, il testo continua con una generalizzazione priva di contesto e passaggi logici. Così la vicenda, senza ulteriori argomentazioni, diventa «un paradosso surreale che, per ora, non può che dimostrare l’insuccesso logistico e organizzativo del famigerato accordo sul grano». In verità, nei giorni seguenti le partenze sono continuate con regolarità. Dal primo al 15 agosto sono state autorizzate 36 navi a lasciare il porto di Odessa o attraccarvi per caricare cereali e altri prodotti alimentari, come ha reso noto la delegazione dell’Onu al centro di Istanbul che coordina le operazioni, dove sono presenti rappresentanti di Ankara, Kiev, Mosca e Nazioni Unite. Di queste navi, ventuno sono già partite e tre sono arrivate in Italia.

Le Razoni invece è attraccata a Tartus, in Siria, dopo aver scaricato 1500 tonnellate di grano in Turchia. Non è ancora certo quello che accadrà al suo carico. Piuttosto è lampante la strumentalizzazione che nicolaporro.it fa della vicenda. Continua l’articolo citato: «la nave Ranzoni, che batte la bandiera del Sierra Leone, è quindi in attesa da giorni con tonnellate di risorse che, con tutta probabilità, andranno disperse». Mentre gli analisti di tutto il mondo cercano di capire cosa accadrà al primo carico di grano ucraino, sul sito di Porro si dà per certa la dispersione delle risorse sulla Razoni, con una «tutta probabilità» della quale si omette di offrire qualsiasi prova o giustificazione.

L’articolo continua con una citazione di un non meglio qualificato «capo della diplomazia Borrel» – che sarebbe l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell – che ha definito l’accordo per lo sblocco del grano «un passo nella giusta direzione», cioè quella verso la risoluzione della crisi alimentare.  Nell’articolo questa diventa «una direzione confusa verrebbe da dire, stando ai fatti».

È la premessa per sminuire gli sforzi diplomatici fatti per far fronte alla crisi alimentare, pure con le complicazioni dovute trasporto, ritardi e qualità, oltre che alla mancata cessazione delle ostilità tra le due parti belligeranti. «Ed è così che l’approssimazione fa da sfondo anche questa volta e la diplomazia si dimostra non sufficientemente in grado di gestire questioni estremamente delicate. Uno scivolone senza precedenti, in primis da parte delle Nazioni Unite che, non solo si sono trovate in questo teatrino non verificando la sicura disponibilità del destinatario, mettendo a rischio un intero carico prezioso. Ciò che è ancora più sconcertante è l’immobilismo di tutti i protagonisti che, senza dare troppo nell’occhio, hanno semplificato il tutto in un “cercasi chi vuole 23 mila tonnellate di mais” », si afferma nel cuore della narrazione.

In realtà, gli le operazioni diplomatiche che si vogliono screditare e banalizzare hanno portato alla creazione di un corridoio umanitario per il transito di alimenti che al contrario sarebbero andati persi con certezza, affamando i Paesi più dipendenti da essi e facendo lievitare i prezzi del mercato internazionale.

Oggi il coordinamento dell’Onu sulle operazioni, che coinvolge le due parti belligeranti e la Turchia in qualità di garante dell’accordo, lavora al ripristino delle rotte commerciali garantendo il transito in territori interessati dalla guerra. Gli accordi sui singoli carichi sono spesso tra soggetti privati e sottostanno alle regole commerciali più che alle trattative diplomatiche. Il governo libanese ha dichiarato a Reuters di non sapere chi stesse acquistando il carico della Razoni. Se manca dunque lo «scivolone senza precedenti» e lo «sconcertante immobilismo di tutti i protagonisti», il «’cercasi chi vuole 23 mila tonnellate di mais’» somiglia più a una pura invenzione letteraria che a un dato di fatto. Così tutto lo scritto risponde più alla necessità di infondere confusione e incertezza che a informare in maniera puntuale. Non viene tenuto conto del contesto e un singolo accadimento viene preso a pretesto per una generalizzazione ingannevole. «Se il buongiorno di vede dal mattino, con la prima nave, che avrebbe dovuto rappresentare il simbolo del successo della diplomazia, in balia delle onde» –  si arriva a concludere – «non possiamo far altro che aspettarci di tutto ormai». Infine, le citazioni di Guterres, Draghi e lo stesso Borrell sembrano inserite nel testo per minare la credibilità dei promotori dell’accordo sul grano, più che dettate da una reale attinenza con la questione Razoni.

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