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Esclusiva

Dicembre 12 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 14 2022
Primo passo verso l’energia delle stelle

Per la prima volta la fusione nucleare ha prodotto più energia di quella usata per innescare la reazione

La potenza del sole sulla terra, il sogno di un’energia pulita e illimitata. Oggi gli unici reattori a fusione nucleare funzionanti sono i nuclei delle stelle, ma martedì 13 dicembre il Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti ha annunciato una svolta storica per la ricerca. Gli scienziati del National Ignition Facility del Lawrence Livermore National Laboratory, in California, sono riusciti a realizzare una reazione di fusione nucleare che ha prodotto 3,15 megajoules di energia a fronte di 2,1 immessi. La quantità guadagnata è irrisoria, più o meno quella necessaria a tenere accesa una lampadina per un qualche ora. Ciò che fa parlare di «svolta» è il fatto che per la prima volta l’energia prodotta è maggiore di quella utilizzata per innescare la reazione.

«La stessa struttura aveva raggiunto un risultato analogo ad agosto 2021, quando l’energia prodotta era stata molto più alta che nei precedenti tentativi, ma ancora circa il 70% di quella immessa. La novità è che ora siamo al 150%, quindi abbiamo dimostrato concettualmente che produrre energia da fusione è possibile». A parlare è Leonida Antonio Gizzi, responsabile della sede di Pisa dell’Istituto Nazionale di Ottica del Cnr. La ricerca in questo senso va avanti dagli anni ’70 e l’annuncio americano potrebbe rappresentare un balzo in avanti che però non prelude a un utilizzo pratico nel prossimo futuro. «È vero che c’è stato un surplus di energia rispetto a quella immessa nel meccanismo, ma se consideriamo anche l’energia utilizzata per produrre il laser il conto totale è ancora in negativo». La fusione laser prevede che il combustibile, una miscela di gas di deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno, venga posto all’interno di un guscio sferico di plastica e irraggiata da fasci laser di alta potenza. La superficie esterna del guscio viene espulsa mentre il gas all’interno, passato allo stato di plasma, ovvero di gas ionizzato, viene compresso e scaldato fino a innescare la fusione. Durante il processo viene espulso un certo numero di neutroni che poi vengono rallentati dal contenitore metallico esterno: proprio questo attrito produce energia. «Il prossimo passo è sviluppare le diverse tecnologie necessarie a permettere un’applicazione pratica», spiega il ricercatore, a partire proprio dai materiali che devono essere in grado di reggere le condizioni che si creano nel reattore e per la durata di vita del reattore stesso, almeno vent’anni. Il problema principale è rappresentato dall’efficientamento energetico nelle varie fasi del processo. «Per cominciare a pensare di costruire un reattore dobbiamo arrivare a un guadagno tra energia immessa e prodotta che vada almeno dalle 10 alle 100 volte, mentre per ora siamo a 1,5». Come fare? Innanzitutto va abbassata l’energia necessaria ad alimentare il laser, «poi ci sono degli studi che dimostrano che si può incrementare il guadagno prodotto dalla reazione. La sfida a quel punto diventerà essere in grado di convertire in maniera efficiente l’energia così prodotta in calore e da questo in energia elettrica».

Tempi lunghi per le prime centrali a fusione nucleare

Insomma non sarà questa scoperta a risolvere la crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina, ma la dimostrazione sperimentale che è possibile produrre energia in questo modo apre le porte alla fase dell’applicazione industriale. «Ci sono già alcune grandi aziende che stanno investendo nelle varie branche della fusione, quella laser di cui abbiamo parlato, ma anche quella magnetica, tra cui Eni e i giganti dell’informatica come Microsoft e Google», spiega Gizzi, che però si mostra cauto sulle tempistiche. «Molti investitori prevedono un’applicazione pratica tra 10-15 anni, una stima parecchio ottimistica per gli scienziati allo stato attuale. Ma risultati come quelli del laboratorio americano incoraggeranno ulteriori investimenti che potrebbero accelerare i tempi».

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La fusione si conferma la nuova frontiera dell’approvvigionamento energetico, ma si tratta davvero di una fonte a impatto zero? «Sì. La fusione è da sempre ritenuta il metodo più pulito che esista. Il deuterio è presente nell’acqua, e il trizio, che non è disponibile in natura, può essere prodotto nel reattore stesso a partire dal litio. Sono materiali estremamente comuni e non di interesse militare strategico come plutonio e uranio. Il processo poi non produce gas serra né scorie nucleari che vanno stoccate per secoli».

Il dottor Gizzi definisce la fusione un processo industriale di medio-lungo termine a cui stanno partecipando tutti i paesi, compresa l’Italia. «Noi come Cnr siamo impegnati sulla produzione di laser sempre più efficienti e sull’ottimizzare l’interazione laser-materia o meglio laser-plasma». Per ora il National Ignition Facility è l’unico laboratorio con una struttura tale da poter sostenere l’energia necessaria ad avviare la reazione, mentre gli altri devono limitarsi agli studi di base, ma l’obiettivo è di costruirne presto uno analogo in Europa (progetto HiPER). La corsa all’energia delle stelle è solo all’inizio.