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Esclusiva

Febbraio 20 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 22 2023
«La vita intima» di Ammaniti e la liberazione dall’apparenza

Lo scrittore romano torna dopo otto anni dal suo ultimo romanzo con una storia sul rapporto tra una donna e la sua identità

«A me piace che questa storia inizi così, con un urlo di dolore». A distanza di otto anni dal suo ultimo libro torna Niccolò Ammaniti e la sua scrittura emerge inconfondibile e familiare nella sua crudezza. È un urlo di dolore a dare avvio a “La vita intima”, la sua nuova storia. Maria Cristina, la protagonista, è colei che lo emette. La moglie del primo ministro italiano, la donna più bella del mondo. Invidiata, commentata, ammirata, fotografata. Se ne sta nel suo appartamento lussuoso con vista su Castel Sant’Angelo, ma qualcosa la fa urlare di un dolore che, costante, la accompagnerà come un tormento per tutto l’andamento della storia.

“La vita intima” è un libro sull’apparenza e sui pregiudizi. È un libro sul potere, sulla contemporaneità. Non si dovrà attendere molto per rendersi conto quanto sia fragile il privilegio della donna di cui si sta leggendo. La sua è una vita costellata da lutti e abbandoni: il padre, la madre, il fratello, il primo marito. Maria Tristina, così la chiamano, si annoia nel suo mondo fatto di superficie, senza profondità, nel contesto per lei determinato da uomini che la desiderano solo come il corpo a cui la riducono condannandola al disgusto per sé stessa.

La sua bellezza è sempre stata di altri, per altri. Lei si è limitata a essere «sempre uguale a sé stessa» senza capire mai chi fosse veramente. È stata «bambina felice, orfana, adolescente in un compound residenziale, atleta, stronzetta dei Parioli, moglie di, vedova di, madre di». Si identifica in tante sé e in nessuna, cambia look e si adegua alle mode, agli occhi di chi la guarda. Posa a richiesta, evita di parlare. Obbedisce agli ordini, si muove con attenzione perché tutto quello che fa si riflette sul marito che ha rinunciato alla loro vita precedente per l’onore di diventare primo ministro.

Ma non è felice, non è libera, non è davvero sé stessa. Quel dolore fitto la continua ad accompagnare, esasperato dalle scarpe belle ma troppo alte, troppo strette, dai vestiti che mette per compiacere gli altri.

La sua passività si incrina quando un incontro la riporta indietro a un momento preciso della sua vita, a suo fratello e alla sua ultima estate. Lei si abbandona all’uomo del suo passato, ma un suo messaggio la mette di fronte a una versione di sé che non coincide con le tante che aveva vestito per adeguarsi al mondo che si è ritrovata ad abitare. Si vede, dopo tanto tempo, e si spaventa. Rifiuta quella sua visione e l’uomo che gliel’ha proposta, proietta su di lui tutti i torti che ha subito dagli altri.

Ma ormai è in moto. Ha paura, è disorientata, ma non più passiva. Smette di compiacere le persone intorno a lei, si ribella a suo marito e al suo staff. Contravviene ai consigli di chi la vuole superficiale e stereotipata. Smette di aspettare che quel dolore passi da solo.

Se nella storia di Maria Cristiana si può ritrovare uno spaccato crudo della nostra contemporaneità, il suo autore si astiene dal trarne una morale. Quando anche questa storia «come ogni storia che si rispetti» arriva alla fine, lo scrittore preferisce «mettersi da parte senza commentare, senza filosofeggiare». Non si può, quindi, che fare altrettanto in questa sede aggiungendo, però, che il dolore smetterà di pulsare e questo, se sembra poco, è già abbastanza.

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