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Esclusiva

Febbraio 21 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 22 2023
La bolla del Booktok: «sui social i libri sono trattati come soprammobili»

Il nuovo trend è quello di smascherare le pubblicità ingannevoli degli influencer e in Italia ha aperto una discussione nella più grande comunità di lettori online

Comprare un libro è sempre un bene? Forse no, se lo si acquista solo per avere una libreria più bella da mostrare ai follower. Così anche Booktok, una community di lettori sui social da oltre centodieci miliardi di visualizzazioni, è finita per essere messa in discussione nell’ambito del deinfluencing, il trend che da qualche settimana sta spopolando su TikTok. I deinfluencer sono persone che sconsigliano l’acquisto di oggetti che ritengono inutili, al contrario di quello che fanno gli influencer, accusati di incoraggiare lo shopping compulsivo e di proporre spesso prodotti solo perché pagati da chi li produce. Nato negli Stati Uniti nell’ambito della cosmetica, il trend è sbarcato in Italia e ha subito coinvolto la più grande comunità di lettori online.

«L’editoria guarda al Booktok come la panacea di tutti i mali. Un baluardo della speranza che possa riconnettere i giovani con la lettura, impresa in cui il marketing classico ha fallito». A dirlo è Alice Cancellario, co-fondatrice di Heloola, una start up nel campo dell’editoria. Proprio sul profilo TikTok del suo bookclub a pagamento, Alice ha pubblicato un video che è risultato tra i più visti in Italia sul deinfluencing, in cui portava la discussione nel campo di cui si occupa: libri e booktok secondo lei sono affetti dalla stessa smania di acquisto compulsivo. «Su TikTok è più importante apparire come un lettore, che effettivamente leggere dei libri», continua Cancellario. «Vuol dire mostrare una serie di caratteristiche fisiche e comportamentali: i lettori sono quelli col pigiama, la tazza, una bella libreria personale». Non tutti ovviamente si riconoscono in questo stereotipo, ma le persone che non lo rispettano vengono «ignorate anche dalle strategie editoriali perché non sono il prototipo di “lettore” che compra 15 libri al mese», anche se poi non li apre nemmeno.

Mostrarsi lettori o lettrici senza esserlo ha senso nella vetrina dei social network. «Prima non si aveva la necessità di avere la libreria aesthetic perché non c’era nessuno cui mostrarla. Ora abbiamo la piattaforma in mano, dove potenzialmente tutto il mondo può vederla. Così i ragazzini comprano contemporaneamente decine di volumi che poi non leggono e a volte più versioni dello stesso libro, per avere diverse copertine». Certo, alle case editrici fa bene cavalcare l’onda, ma il rischio è che si tratti di una strategia poco lungimirante. Senza instillare un reale piacere per la lettura, se un giorno la moda dovesse passare il settore tornerebbe immediatamente a soffrire la mancanza di giovani lettori. Tutto dipende da che uso si fa delle piattaforme, dice Cancellario: «il video virale non dev’essere un fine ma un mezzo per stimolare nuove discussioni che possano permettere di sviluppare del senso critico».

Intanto i numeri del deinfluencing in Italia vanno crescendo e sempre più creator si dedicano a smontare quelle che ritengono le pubblicità ingannevoli degli influencer. «Alcuni video criticano il prodotto e il suo costo, altri la pubblicità che fanno senza dichiarare che i loro “consigli” sono in realtà sponsorizzati dai produttori», dice Valerio Bassan, esperto di comunicazione e strategie digitali. E non c’è critica sociale o culturale, «per ora mi sembra che il deinfluencing sia focalizzato sui prodotti, che risponda solo a una logica commerciale».

La bolla del Booktok: «sui social i libri sono trattati come soprammobili»
Trend Disinfluencing in Italia nelle ultime settimane, fonte TikTok

Stesse piattaforme, stesso format e stesse logiche che vogliono contestare, dunque, eppure i follower dei deinfluencer crescono in fretta. Se «è interessante che ci sia un micromovimento antagonista delle dinamiche che si sono create negli anni», continua Bassan, «bisogna anche essere consapevoli del cortocircuito. E cioè che se il deinfluencer sconsiglia i prodotti dell’influencer per poi consigliarne di suoi torniamo al punto di partenza». Così è facile immaginare che gli stessi contestati possano unirsi al trend per recuperare il successo perduto. Anche perché «quelli che influenzano davvero sono molto pochi» e sono seguiti perché c’è un «capitale di contenuto, non si tratta solo di esperienza digitale». Questi riescono a influenzare l’opinione pubblica perché hanno una fandom e seguaci reali, il resto è tutta pubblicità che rincorre visualizzazioni.

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