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Esclusiva

Febbraio 24 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 23 2023
Stakhovsky dal fronte: «Spero che Wimbledon non cambi idea sui russi»

L’ex tennista, nell’esercito ucraino dall’inizio della guerra, racconta come è cambiata la sua vita da soldato a un anno dall’invasione

Il cielo di Kiev si muove veloce fuori dai finestrini della macchina. Dall’altro lato dello schermo in divisa militare, Sergiy Stakhovsky corre via dal centro per evitare l’ennesimo bombardamento di quest’anno di invasione. «Sta volta sono stato davvero vicino a non rispondere alla tua chiamata», racconta alla guida. «Ti parlo di una frazione di secondo. Hanno mancato il nostro van per un metro proprio poco fa. Io sto cercando di minimizzare i rischi, ma in guerra è impossibile».

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, il nativo di Kiev Sergiy Stakhovsky aveva appena dato per conclusa un’ottima carriera da tennista. Ha detto basta a 36 anni, con a suo nome quattro titoli, un 31º posto nella classifica mondiale, addirittura una vittoria a Wimbledon contro Federer. «Non voglio avere la nazionalità di un Paese che non esiste più», ci rispondeva un anno fa interrogato sul perché avesse scambiato la racchetta con un fucile e la polo sintetica per la mimetica, appena scoppiato il conflitto. 

«Vediamo un po’…», riflette con faccia rassegnata. «Rispetto a quando mi sono arruolato ho perso peso, anche i capelli. Guarda, ora sono tutti grigi». Un po’ è per l’età, un po’ è per lo stress, dice. Anche i suoi compiti sono cambiati. Aveva iniziato facendo giri di ricognizione senza sapere come impugnare un fucile, «oggi partecipo a scambi di prigionieri, continue esercitazioni con mortai, operazioni militari in piena regola. Sono stato a Bucha poco dopo il ritiro dei russi, adesso sono appena tornato da Bakhmut».

«Paura?», sbuffa disinteressato. «No, non come a marzo o aprile. O meglio, quando sei in un conflitto armato sì, perché il rischio lo vedi lì davanti a te, ma il più delle volte non c’è tempo per aver paura. Se senti una bomba arrivare può essere una questione di istanti prima che cada vicino a te, come mi è successo poco fa. Se non la senti probabilmente sei già morto». 

«Siamo vicini al collasso»

Quando parla di routine il tono cambia, si fa apatico. Più che temerario, sembra anestetizzato da tanta violenza. Non è stato sempre così. In estate gli era stata offerta l’opportunità di riconsegnare le armi e l’aveva accettata. «Sentivo di essermi spinto troppo in là, di star giocando con la mia fortuna. In quel momento, poi, volevo provare ancora a dividermi fra la vita da soldato e quella privata». Dopo qualche mese in giro fra eventi di sensibilizzazione e match di beneficenza, ha deciso di non provarci più: ora vuole essere solo un soldato. 

«Era diventato più difficile stare lontano che dentro il combattimento. Stavo con la mia famiglia, ma non smettevo di informarmi della situazione al fronte, come si muovevano le nostre linee, dove atterravano i missili. È vero, mi vedono poco. Ma i miei figli sono al sicuro e mi sembrava così ingiusto restare lì mentre milioni di altri non possono vedere i genitori perché combattono. Ho deciso che non farò più un passo indietro finché non vinceremo questa guerra».

Ma vincere non sarà facile né sbrigativo, lo sa: «Oggi serve urlare un po’ di realtà», irrompe. «Qui c’è quasi un clima di vittoria, perché tanto a Kiev le vite sono tornate alla normalità, o quasi. È vero, siamo a 700 chilometri dal conflitto, ma questa sensazione diffusa che in Ucraina sia finita la guerra mi infastidisce. Qui è… è davvero morte tutti i giorni. Sul fronte orientale siamo vicini al collasso. Se guardi la mappa, ci stanno lentamente spingendo via in tutta la regione del Donetsk».

«Ci stanno accerchiando, abbiamo bisogno di più armi anche solo per arrestare la loro avanzata». In Europa, gli ricordiamo, c’è chi vorrebbe tagliare l’invio di equipaggiamenti in nome della pace. Stakhovsky è indifferente: «Se il mondo vorrà smettere di aiutarci vuol dire che combatteremo ancora, ma senza carri armati. Diventerebbe una guerriglia, con centinaia di migliaia di morti. Chi auspica questo non capisce che è esattamente ciò che la Russia vuole». Dunque, «una pace a metà strada», come la chiama il soldato, non è un’opzione per gli ucraini: «Se si congelasse la situazione com’è adesso [con la Russia che prenderebbe le zone occupate nel Donbass e in Crimea], è probabile che fra due o tre anni si ricompattino per effettuare un attacco massiccio. E in quel caso sarebbe devastante, perché al contrario di un anno fa sarebbero preparati alla nostra resistenza».

«Ho deciso che non farò più un passo indietro finché non vinceremo questa guerra»

Sergiy Stakhovsky

«Spero che Wimbledon non cambi idea»

È facile dimenticarsi che sotto il giubbotto mimetico e il maglione a collo alto ci sia uno sportivo. Un anno fa Stakhovsky non si era fatto troppi amici chiedendo di bandire gli atleti russi da ogni competizione. «Oggi la mia è linea ancor più dura, perché in tutto questo tempo i russi hanno deliberatamente preso di mira e distrutto centinaia di impianti sportivi in ​​Ucraina», spiega. Il suo coro si unisce a quello della connazionale e collega tennista, Elina Svitolina, che ha recentemente auspicato che le Olimpiadi continuino a boicottare gli sportivi russi e bielorussi («perché dovrebbero avere una chance quando i loro governi stanno derubando innocenti e atleti della loro possibilità di competere?», ha scritto sui social).

«Non sarà mai uno scontro alla pari fra un ucraino e un russo», aggiunge Stakhovsky. «Se gli atleti russi verranno in Ucraina per allenarsi, allora forse lo sarà. Ma loro si preparano a casa in perfette condizioni, con la sicurezza, con l’elettricità, con il cibo, con tutto. Gli ucraini non hanno più spazi per prepararsi, non possono tornare a casa. I nostri giovani non saranno neanche più nostri: li stanno accogliendo altri Paesi, che gli offriranno la loro nazionalità e non gareggeranno mai sotto la bandiera ucraina».

Nel mondo del tennis, solo Wimbledon e la federazioni britannica hanno deciso di proibire ai russi e i bielorussi di competere. Una decisione molto impopolare, che non permette allo Slam di assegnare punti ai vincitori e che potrebbe obbligare i tornei preparatori, come Queens ed Eastbourne, a venire “prestati” a federazioni estere finché la situazione non sarà risolta.

«Spero che Wimbledon non cambi idea», interviene il soldato. «Lo spero vivamente perché sembra che siano gli unici che hanno le palle per fare qualcosa. Non sarà popolare, ma per me è bizzarro che, per esempio, la Francia sostenga l’Ucraina ma permetta ai russi di competere per guadagnare milioni di euro, sui quali in Russia pagheranno delle tasse che verranno poi investite nella guerra».

Stakhovsky dal fronte: «Spero che Wimbledon non cambi idea sui russi»
Stakhovsky saluta Roger Federer dopo averlo sconfitto a Wimbledon, nel 2013. Foto: Reuters, Supplied by Action Images

Stakhovsky crede nel potere che i cittadini russi hanno in questa guerra. Durante l’intervista li esorta più volte a intervenire protestando. Ma chiede anche delle guide, personaggi pubblici coraggiosi che possano trascinarli in massa con le proprie prese di posizione. Quali atleti russi lo sono stati? «Per il tennis posso fare solo un nome, Daria Kasatkina», che ha definito la guerra di Putin «un incubo in piena regola». Dichiarandosi inoltre omosessuale, un tema di cui è anche solo vietato parlare in Russia per colpa della legge sulla «Propaganda gay» in forza dal 2013. «L’ammiro», continua l’ex collega. «Ha palle più grandi di di tutti i tennisti russi messi insieme. Il che è triste». 

Sembra ingiusto non inserire nella lista anche il moscovita Andrey Rublev. Lui, subito dopo l’invasione ha scritto su una telecamera a bordo campo «No war please». «Quel messaggio fu d’ispirazione all’inizio della guerra perché nessun altro russo fece lo stesso», spiega. «Ma oggi la posizione “no war” non ha più alcun significato. Con Andrey ho parlato tanto e lui sta provando a dire qualcosa, ma non riesce. Hai visto la sua conferenza stampa in Serbia? Un disastro totale. Totale. “Non sono un politico, non so abbastanza”. Non sai che uccidere è male? Che invadere un altro Paese è male?».

Non tutti sono disposti a rischiare l’incolumità propria e della famiglia, notiamo. «Capisco, ma un giorno i figli, leggendo i libri di storia, gli chiederanno: “Cosa hai fatto quando i russi invasero l’Ucraina?”. Lui che dirà?». Non c’è una risposta giusta, ma detto da un uomo che poco prima stava per morire fa un certo effetto.

Foto di copertina: Instagram @Stako_s