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Esclusiva

Marzo 14 2023
Carlo Alberto Dalla Chiesa, un patrimonio di valori professionali e umani

Alla Camera, la presentazione del libro “Soldato, Carabiniere, Prefetto” dedicato al Generale dell’Arma

«È stato un servitore dello Stato, un papà che ha sacrificato la vita per la lotta al terrorismo e alla mafia». Il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, accompagnato dal segretario generale, apre la presentazione del libro storico-documentale “Carlo Alberto Dalla Chiesa. Soldato, Carabiniere, Prefetto” nella sala della regina di palazzo Montecitorio. Il volume ripercorre la storia professionale di Carlo Alberto Dalla Chiesa, generale dell’Arma dei Carabinieri ucciso il 3 settembre del 1982 a Palermo, dove era stato inviato come prefetto per combattere la mafia, l’organizzazione di Cosa Nostra.

È la strage di via Carini in cui morirono anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Dalla Chiesa aveva lottato contro le brigate rosse, l’organizzazione terroristica italiana di estrema sinistra. Riuscì a catturare due esponenti del sistema, grazie all’ideazione della struttura antiterrorismo, denominata nucleo speciale antiterrorismo. Il generale fu uno degli artefici del “rapporto giudiziario dei 114”, una mappa dei capimafia siciliani (ndr). L’Arma conquistò il generale durante la seconda guerra mondiale. È in questo periodo che partecipa alla Resistenza, l’insieme dei movimenti politici e militari che si opposero al nazifascismo. Subito dopo la guerra, si distinse per la lotta al banditismo, il fenomeno criminale e delinquenziale, in Campania e, poi, in Sicilia.

Le parole di Fontana anticipano quelle del generale Teo Luzi, comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. «È stato un eroe che ha pagato con la propria vita, le proprie idee e la propria concezione della democrazia. Nessuno deve essere un eroe. Lo Stato non ce lo chiede, ma dobbiamo ispirarci ai tanti servitori dello Stato, come ai valori che Dalla Chiesa ci ha lasciato. Non è morto invano. Ognuno di noi è ancorato al presente e ha difficoltà nel guardare al futuro. Il generale ha sempre guardato oltre il muro, pensando ai giovani, facendoli crescere secondo i principi sani della nostra Italia. Questo è il suo insegnamento. Un uomo delle istituzioni che ha lasciato un segno nella cultura, nella società che si è evoluta. È cambiata la consapevolezza nei confronti dei fenomeni criminali. Ha lasciato un’eredità importante che vale oggi per gli operatori di polizia, per i dipendenti pubblici e per la società civile».

I valori hanno riempito la vita del generale Dalla Chiesa che «ha sempre lavorato, anticipando quelli che, soltanto oggi, sono i due capisaldi della nostra Carta Costituzionale: lavorare con disciplina e onore, e lavorare nell’interesse esclusivo della Nazione. Un’altra sua caratteristica è “il guardare il fenomeno nella sua interezza”. Oggi lo diamo per scontato, ma nel dopo guerra o negli anni delle brigate rosse si guardava al singolo fatto. Pensiamo al rapporto sull’omicidio di Placido Rizzotto, il sindacalista di Corleone ucciso per le dinamiche mafiose. Il corpo è stato buttato in una grotta ed è stato ritrovato soltanto pochi anni fa. Eppure erano nate delle relazioni ‘ammazzato per questioni affettive, di affari’. Il rapporto conferisce un quadro di insieme delle società e delle dinamiche criminali. Si guarda oltre il singolo episodio. È quello che oggi chiamiamo fenomeno della criminalità organizzata, denominata Cosa Nostra».

Gianni Riotta, direttore del master in giornalismo e comunicazione della Luiss, modera la presentazione. «Nel saluto di Fontana e di Luzi c’è la sigla della giornata di oggi. Non ci sarà spazio per la retorica ma un documento vivo, un libro dinamico. È un trattato che narra l’evoluzione dei metodi investigativi innovativi, riassumibili in quello che è, ancora oggi, operativo: “il metodo Dalla Chiesa”. Una raccolta di tanti dati che consente un’indagine meticolosa, la cattura di molti mafiosi, come Messina Denaro».

Anche il generale Alfonso Manzo, capo del V reparto dello Stato maggiore della Difesa, ricalca, correlandosi al “metodo”, «l’importanza del passaggio dall’episodio al fenomeno. Il singolo episodio è ancorato al territorio. L’episodio diventa il sintomo di un fenomeno. Le forze di polizia sono organizzate per competenza giurisdizionale, per competenza territoriale. Pertanto gli episodi accaduti in un luogo sono gestiti da altri operatori di polizia, se accadono in un luogo distante. Adesso, per la prima volta, si fotografa un fenomeno nella storia Repubblicana delle forze di polizia».

Manzo continua – «Dalla Chiesa era un grande motivatore che non perdeva mai il contatto con la realtà operativa. È la teoria dei rami verdi. Lascia qualche soggetto “minore” in libertà, il ramo ancora da analizzare, evitando che l’avversario si possa organizzare».  Sono le «tecniche di intervento operativo» in acronimo OCP, una modalità di svolgimento delle indagini da parte della polizia giudiziaria che non interviene direttamente sulle persone ma ne segue i movimenti (ndr).  «Dalla Chiesa era un leader che ha affrontato una sfida tragica per prestare servizio al Paese. Non finiremo mai di ringraziarlo».

Non manca il pensiero del capitano Francesco D’Ottavio, addetto al V reparto dello Stato maggiore della Difesa che, rispondendo anche alle domande degli studenti della scuola di giornalismo dell’università Luiss Guido Carli, ricorda: «Mi trovavo al raggruppamento operativo speciale per fare delle ricerche. Trovai dei documenti scritti in modo tale che nella parte posteriore ci fosse ancora il solco della sua firma. Questa esperienza mi ha colpito. Ho sentito lo spirito del generale, passando le mani su quel foglio. Immagino che, quando mi ritroverò a prendere una decisione da ufficiale, da padre, passando la mano su quel foglio, sentirò quello spirito che mi trasmette il consiglio di fare la cosa giusta».

A queste parole si aggancia il ricordo di Alessia Glielmi, responsabile degli archivi del consiglio nazionale delle ricerche: «Una forte emozione resta indelebile nella nostra mente. Ricordo quando siamo andati a San Benedetto del Tronto e abbiamo visitato, per la prima volta, il rifugio che il tenente dalla Chiesa utilizzava per nascondersi».

Segue l’intervento di Nando Dalla Chiesa, professore universitario, sociologo e politico che riprende una circolare del gennaio del 1967: «ricordo che mio padre era comandante della legione di Palermo. È andato a vedere, a sentire, non si è chiuso nel suo ufficio. In questa circolare c’è dentro tutto quello che lui ha capito». Il professore legge uno stralcio: «‘Un carabiniere non bacia le mani a nessuno, non si flette davanti a nessuno e, se si china, si china soltanto davanti alla legge’. È un trattato splendido di educazione civica che riporta il senso di responsabilità delle parole che usiamo. La preoccupazione di mio padre è sempre stata quella di restituire all’arma assoluta alterità nei confronti della mafia».

La presentazione è colma di interventi, come quelli degli studenti dell’accademia nazionale d’arte drammatica “Silvio D’Amico”. Gabriele Enrico ritorna sull’attività svolta durante la Resistenza. Un amore per l’arma caratterizza la vita del generale. Luca Zaffanella legge il discorso di Dalla Chiesa, in occasione del 166° anniversario dell’Arma dei Carabinieri. «Ricordate che i vostri sacrifici, le vostre rinunce, le vostre amarezze contribuiscono al civile convivere, alla sopravvivenza della fede, alla salvezza delle istituzioni».

Gianluca Scaccia procede nella lettura di un estratto di un’audizione del generale del 4 novembre 1970 presso la commissione parlamentare antimafia. «Nella delinquenza comune possiamo far fronte e abbiamo ottenuto anche dei risultati di rilievo. Nei confronti del mafioso, in quanto tale, in quanto inquadrato in tutto un contesto particolare, è difficile per noi raggiungere le prove. Ciò non ci è dato se non attraverso un indizio che può diventare grave, può diventare gravissimo, può avere un valore determinante, anche nel giudizio discrezionale del magistrato, ma non la prova perché essa viene a mancare».

Nelle parole conclusive di Isabella Rauti, la sottosegretaria di Stato alla Difesa, si percepisce la volontà inesauribile di combattere il male che, ha sempre, guidato il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. «È stato ucciso perché era in grado di capire e quindi combattere la mafia. Nei pochi mesi spesi in qualità di prefetto a Palermo diede prova della sua inflessibile volontà di volere scardinare il sistema mafioso. Questo libro racconta e ricostruisce la lotta alla mafia. Non dimentico il primo maggio del 1982, il giorno successivo all’insediamento a Palermo. In questo giorno emerge, ancora una volta, il potere, l’obiettivo del generale di ristabilire la legalità, lo Stato contro l’anti-Stato. Rauti conclude, riprendendo una frase chiave espressa, proprio in quella giornata, da Dalla Chiesa. È la citazione menzionata anche dall’intervento precedente dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di Stato maggiore della Difesa: «Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi. Non possiamo oltre delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti».

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