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Esclusiva

Aprile 4 2023
432 Hz, o la favola della frequenza magica

Per più di un secolo, all’evoluzione del diapason delle orchestre si sono affiancate credenze pseudoscientifiche prive di alcun fondamento

È il suono che ci conquista ancora prima che l’orchestra inizi a suonare: si tratta del La intonato dal primo violino, in ambito musicale anche noto come diapason o corista. Il suo scopo è indicare la giusta altezza sulla quale tutti gli strumenti devono accordarsi affinché possano suonare insieme. Comunemente, questa altezza è fissata a 440 Hz: per chi non avesse dimestichezza in teoria musicale significa che, suonando il La centrale del pianoforte, vengono emesse 440 vibrazioni al secondo.  

In Italia, l’affermazione del diapason a 440 Hz è una conquista relativamente recente: il nostro paese lo ha ratificato solo con una legge del 1989, dopo più di un secolo di tentativi e modifiche. Ma perché, ad un certo punto, si è sentita l’esigenza di definire uno standard per l’accordatura delle orchestre? «Ci sono tre motivi» spiega Renato Meucci, organologo e musicologo. «Primo, la necessità di porre un freno all’innalzamento del La, che nella seconda metà dell’Ottocento si era spinto oltre i 440 Hz. Seguono due ulteriori esigenze: uniformare l’esecuzione musicale delle bande da Nord a Sud del paese dopo l’unificazione d’Italia, e permettere così anche alle orchestre di confrontarsi con le compagini militari».  

A partire dal 1859 si era infatti assistito a «una corsa verso l’acuto» motivata dall’adozione di nuovi strumenti a fiato – prima in Austria e poi in Italia – nelle bande militari. Infatti, «più si suonava con un diapason alto, più il suono dei fiati era brillante». Ciò, però, diventata controproducente per i cantanti, che troppo spesso si trovavano a fare i conti con altezze impossibili da raggiungere vocalmente: naturale che a battersi per l’abbassamento del diapason si trovi allora anche Giuseppe Verdi, l’operista italiano per eccellenza. «Il compositore approvò, nel 1881, la scelta del Congresso dei musicisti italiani di abbassare il La a 432 Hz, nonostante lui fosse più propenso per il modello francese di 435 Hz».

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La proposta di un tale corista arrivava dal musicista Bartolomeo Grassi-Landi, influenzato da alcune congetture che sostenevano il 432 Hz come l’accordatura perfetta sulla base di calcoli matematici. È una credenza che non ha mai smesso di essere presente nel pensiero esoterico e teosofico novecentesco: secondo tali teorie, il 432 Hz non solo risulta essere più gradevole all’orecchio, ma ha anche effetti benefici sull’animo umano, poiché lo rende più felice e lo connette in armonia con l’universo. La giustificazione? Un riscontro matematico che collegherebbe il 432 Hz al numero di giri di rotazione della Terra, al suo battito, e alla nostra frequenza cardiaca. Ma che, oltre ad essere al limite del forzato, non trova alcun fondamento scientifico.  

«Nulla di più lontano dal povero Verdi, che aveva a cuore l’unità del diapason e la salvaguardia dei cantanti» sospira Meucci. Il compositore sapeva benissimo che tre Hz di differenza sono assolutamente impercettibili all’orecchio umano: un La a 432 Hz in Italia sarebbe rimasto comunque un La a Parigi, anche se questo era a 435 Hz. Ad influenzare la scelta dell’accordatura – che ad oggi è ancora variabile e può arrivare fino i 444 Hz della filarmonica di Berlino – ci sono ben altre condizioni: culturali, preferenze del direttore e, in ambito più piccolo, umidità e temperatura dei contesti in cui gli strumenti suoneranno. Entrando in una sala da concerto, non c’è pericolo di diventare più riottosi e violenti se il primo violino intona un La a 440 Hz invece che a 432 Hz. L’orchestra di oggi suona Mozart quasi un semitono sopra di come lui aveva sentito la sua musica al fortepiano: non per questo, ci commuove di meno.