Esclusiva

Maggio 3 2023
Le piattaforme non temono più lo sciopero degli sceneggiatori

Sospese fino a data da destinarsi le attività degli autori appartenenti alla Writers Guild of America per il mancato accordo con le produzioni

È impossibile non aver guardato o non aver ascoltato il resoconto dettagliato di almeno un episodio di Grey’s Anatomy se si è stati adolescenti negli anni Duemila. Grandi serie tv statunitensi, tra cui anche Lost, per tutto il decennio sono state l’appuntamento settimanale fisso di migliaia di ragazzi e ragazze che ancora oggi non dimenticano i cento giorni più spiazzanti della storia della tv contemporanea: lo sciopero degli sceneggiatori durato dal 5 novembre 2007 al 12 febbraio 2008.

Nel sistema televisivo di quindici anni fa, quando le serie tv iniziavano a ottobre e terminavano a ridosso dell’estate ma venivano scritte e filmate settimana dopo settimana – coprendo un arco di circa nove mesi di lavoro – cento giorni di sciopero significarono soprattutto un drastico taglio del numero di episodi per stagione. Chi quell’anno iniziò Breaking Bad o chi ancora guardava Desperate Housewives dovette accontentarsi di un arco narrativo incompleto e mutilato (di solito da 24 a 13 o 17 episodi).

Lo sciopero in quell’occasione fece pressione sui mancati investimenti pubblicitari e si risolse a favore degli sceneggiatori.

Dalla mezzanotte dello scorso martedì 2 maggio la Writers Guild of America – l’associazione di autori televisivi e cinematografici – ha sospeso ogni attività dopo le trattative, non andate a buon fine, con i rappresentati delle produzioni Amazon, Netflix, Apple, Disney, Sony, Paramount, Warner, CBS, NBC e Discovery, unite dalla sigla AMPTP.

Rispetto a quindici anni fa cambiano le premesse e cambiano le conseguenze. Il mondo della televisione e del cinema si è trasformato a tal punto da non poter prevedere la conclusione della protesta.

Oggi, infatti, in seguito alla pandemia ma soprattutto in seguito ai nuovi formati televisivi dettati dalle piattaforme streaming, le serie tv nascono già brevi, pensate su otto o massimo dieci episodi. È il nuovo standard, imposto dalle abitudini di visione su Netflix, per esempio.

Una durata minore impone un minor impiego di risorse e quindi anche un minor numero di sceneggiatori assunti su base fissa dalle produzioni. Ciò che gli autori e le autrici contestano alle case di produzione è quindi l’aver reso il lavoro di sceneggiatura una professione freelance, nonostante sia da sempre la struttura più salda e la parte essenziale della serialità televisiva americana. Nel flusso dello streaming, inoltre, non è possibile garantire agli autori i diritti su ogni replica di un determinato episodio, fattore che incrementa il malcontento della Writers Guild.

Se pensate che la vostra serie preferita non vedrà mai la nuova stagione, tuttavia, non è ancora il momento di agitarsi. Le produzioni streaming, a differenza della tv tradizionale, concludono la fase di scrittura e riprese molto prima della diffusione sulla piattaforma, garantendo in anticipo mesi di copertura con nuovi contenuti.

Non influenzando i guadagni pubblicitari però, questo sciopero potrebbe durare ben oltre cento giorni, senza una vera leva su cui fare pressione. Gli effetti immediati in Italia non si vedranno, perché saranno soltanto gli show serali a risentire dell’assenza degli sceneggiatori. Tutti i cosiddetti “Late Night” che coprono la fascia della nostra prima serata ma che vanno in onda solo negli Stati Uniti.

Se dovesse diventare uno sciopero a oltranza le prime conseguenze si vedranno nei contenuti originali delle piattaforme, film e serie tv ancora in pre-produzione che potrebbero ritardare l’uscita di parecchie settimane. Nell’attesa, rimangono infiniti cataloghi da esplorare, ma il futuro della professione di sceneggiatore, almeno nella Writers Guild, sembra più incerto che mai.

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