Stasera giovedì 12 dicembre alla Johann Cruyff Arena di Amsterdam, per la partita di Europa League fra Ajax e Lazio, non ci saranno bandiere e striscioni biancocelesti a colorare gli spalti. «Nessun tifoso della vostra squadra sarà persona gradita», si legge in una lettera della sindaca della capitale dei Paesi Bassi Femke Halsema al presidente della società romana Claudio Lotito di tre settimane fa. Troppo forte il timore di una riproposizione delle violenze contro i tifosi israeliani della notte fra 7 e 8 novembre in occasione della visita del Maccabi Tel Aviv. «È un momento di grande imbarazzo politico, non solo per la città di Amsterdam, ma anche per il nuovo governo olandese», dice James Montague, autore di Fra gli ultras (tradotto in italiano da 66thand2nd), un lungo reportage tra le tifoserie organizzate di tutto il mondo, dall’Uruguay all’Indonesia. «Non si è parlato di altro per una settimana. Una trasferta di una curva che in passato ha preso delle esplicite posizioni antisemite potrebbe essere troppo. Ma non credo che in questo caso sia colpa dei tifosi della Lazio, pagano le colpe delle autorità olandesi di un mese fa».
Le paure di antisemitismo
Fra le varie accuse di Halsema c’è «l’uso improprio dell’effige di Anna Frank» – ragazza ebrea morta nel campo di concentramento di Bergen-Belsen dopo essere stata catturata proprio ad Amsterdam – la cui immagine è spesso stata usata dalla Curva Nord laziale per denigrare gli avversari, in particolare i romanisti.
La tensione corre su un filo che unisce calcio e politica e che la guerra nel Vicino Oriente ha assottigliato. «Penso che quanto successo dopo Ajax-Maccabi Tel Aviv non sia una caccia all’ebreo e neanche solo una manifestazione di tifo violento, quanto qualcosa che sta nel mezzo», commenta Montague sugli avvenimenti di novembre. «È vero che i tifosi della squadra israeliana sono ultranazionalisti e hanno cantato terribili cori sul genocidio dei palestinesi e sui bambini di Gaza, hanno strappato le bandiere e ci sono state segnalazioni credibili di aggressioni a persone di origine araba o che sembrano esserlo. È anche vero che, in seguito, gruppi di persone si sono aggirati per le vie della città in cerca di ebrei e hanno chiesto il controllo dei passaporti». Una situazione che è esplosa nonostante il gemellaggio fra le due tifoserie: «Anche per le origini spiccatamente ebree della squadra olandese – i suoi tifosi si sono autosoprannominati Super Joden (Super Giudei) -, c’è un legame di lunga data con il Maccabi Tel Aviv. Quando gli israeliani sono andati nei Paesi Bassi per altre partite europee negli scorsi anni, hanno festeggiato insieme a Piazza Dam. C’entra molto più la politica che il calcio».
Probabilmente il triangolo di Amsterdam, come viene chiamato il tavolo di confronto fra sindaco, capo della polizia e prefetto, avrà pensato che potessero replicarsi scenari anche peggiori con la visita di una tifoseria politicamente opposta a quella ajacide, «che spesso si è scontrata con gruppi di estrema destra», aggiunge Montague.
Nel corso del suo lavoro di ricerca, l’autore britannico ha avuto modo di incontrare Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, capo della Curva Nord ucciso in un agguato il 7 agosto 2019 nel Parco degli Acquedotti di Roma. «Andare contro i globalisti, contro il fatto che l’Unione Europea ci ha portato via il diritto al lavoro, contro il fatto che permette ai sionisti di controllare tutte le economie del mondo», era il suo credo politico.
La Palestina in curva
La tifoseria organizzata laziale è famosa in Europa per le manifestazioni di antisemitismo – l’anno scorso a Monaco di Baviera avevano fatto scalpore i video all’interno della birreria dove Adolf Hitler fondò il Partito nazista – ma non era solita lanciare messaggi a supporto della causa palestinese. «Dal 7 ottobre possiamo vedere la bandiera della Palestina sventolare in uno spazio decisamente non di sinistra. Questo per la logica che “il nemico del mio nemico è mio amico”».
Il triangolo rosso su campo nero, bianco e verde è sempre stato un simbolo per i gruppi schierati a sinistra, eredità del travaso dalla piazza alla curva che ha caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta. Nell’ultimo anno la Uefa ha provato a tenere la bandiera palestinese lontano dagli stadi, ottenendo come risultato che proprio le coppe europee sono diventate gli scenari privilegiati dagli ultras per esprimere messaggi contro la guerra a Gaza e per la liberazione della Palestina. Le coreografie della Green Brigade del Celtic Glasgow e della Virage Auteil del Paris Saint-Germain hanno fatto notizia in questi mesi di Champions League. «Ovviamente c’è differenza fra l’antisionismo di questi gruppi e quello della Curva Nord laziale», commenta Montague. «Ma è interessante come in questo strano mondo di alleanze e inimicizie, si trovino dalla stessa parte sulla questione, anche per ragioni sbagliate, partendo, però, da tradizioni e visioni politiche completamente differenti. Ed è una situazione che non mi sarei mai aspettato prima del 7 ottobre».
Gruppi di paesi, tradizioni di tifo e visioni politiche differenti, dall’Irlanda alla Libia e dal Cile all’Indonesia, a partire dall’ottobre 2023 si sono schierati con la Palestina, sventolando bandiere, scandendo cori o srotolando striscioni in cui ciò che sta succedendo a Gaza è chiamato “genocidio”. Sarebbe, però, generico dire che il mondo ultras ha scelto la sua parte. «Uno dei luoghi dove è più difficile che questo accada è la Germania», racconta James Montague, passato anche da qui per il suo libro. «La storia e le responsabilità nella Shoah portano a sostenere Israele». Un’elaborazione politica del senso di colpa che arriva anche negli stadi. «Squadre come il St. Pauli di Amburgo, tradizionalmente molto a sinistra, da cui ci si poteva aspettare un qualche tipo di solidarietà, non si sono espresse, anche perché la legge tedesca è molto restrittiva sull’uso di simboli palestinesi. Mentre sono i gruppi ultras più a sinistra a supportare Israele e chiedere il ritorno degli ostaggi. Perché vedono come progressista sostenere un paese democratico contro Hamas, riconosciuto come un’entità fascista. Ma non è per tutti così. Per la Green Brigade, che viene da una storia politica completamente differente», legata all’indipendentismo repubblicano irlandese, essere progressisti significa sostenere la Palestina.
La questione della sicurezza
Negli ultimi anni le trasferte europee hanno attirato sempre più l’attenzione della stampa e della polizia. Agguati e scontri nei centri cittadini ormai caratterizzano più le serate di martedì, mercoledì e giovedì che il fine settimana, riaprendo il tema della violenza nel calcio anche a livello europeo.
«Lo scorso anno ci sono state molte scene nei Paesi Bassi sfociate nel panico. Mi sono concentrato molto sui giornalisti olandesi che si chiedevano come stroncare questi comportamenti», continua James Montague. «Spesso le autorità sono indecise se usare il metodo inglese (pene più severe e controllo tecnologico, ndr) o quello italiano (costruito sull’uso di misure preventive da parte delle forze dell’ordine, ndr), ma bisogna stare attenti a ciò che si desidera».
La soluzione di vietare le trasferte anche in Europa può sembrare facile, ma Montague avverte: «Puoi anche impedire a tutti di viaggiare, ma è questo il tipo di società in cui si vuole vivere? Perché spesso i metodi utilizzati contro i tifosi di calcio preannunciano misure che potranno poi essere usate contro il resto della popolazione. Molti in Europa vogliono il livello di controllo che c’è in Inghilterra, ma noi in Inghilterra diciamo “non gettare il bambino con l’acqua sporca”. Così facendo si finirà per distruggere quello che si vuole salvare e per normalizzare forme di controllo che non devono assolutamente essere normalizzate».