Carlo ha 68 anni, il volto scavato, segnato dal tempo e da una vita di fatica. Le sue mani sono scure e rugose e trattengono la storia di chi un tempo lavorava il legno. Era un artigiano conosciuto, aveva una piccola bottega nella periferia di Roma dove creava mobili e restaurava opere antiche.
Adesso la sua casa è la strada, veste di quello che le associazioni, come la Caritas, riescono a donargli. La sua vita non è più quella di un tempo ma la solitudine che lo tormentava è diventata una compagna di viaggio. Dorme in un angolo nascosto di Villa Pamphili, cercando di evitare i controlli che durante il periodo del Giubileo si sono fatti sempre più severi e frequenti. «Pellegrini, turisti. Non ci sono più posti dove riposare tranquillo. Anche le panchine nei parchi sono piene, spesso le transennano per sicurezza. È come se ci stessero spingendo ancora più ai margini della società».
Durante le celebrazioni natalizie, Carlo aveva trovato rifugio in un centro di accoglienza temporaneo, ma la gioia delle festività gli è sembrata distante. «Vedi le luci, i canti, ma ti senti invisibile. È come se la città in questo periodo volesse mostrarsi perfetta, senza le ombre della vita vera», quelle che lui, invece, conosce bene e di cui è diventato il locatore perfetto.
In preparazione al Giubileo del 2025, il comune di Roma ha avviato un piano per affrontare l’emergenza abitativa dei senzatetto, particolarmente critica nei mesi invernali. Con un investimento di 4,3 milioni di euro, sono state realizzate quattro tensostrutture temporanee, capaci di ospitare complessivamente circa 250 persone.
Secondo i dati raccolti durante la “Notte della solidarietà”, iniziativa promossa dall’assessorato alle politiche sociali e alla salute di Roma Capitale che prevede lo studio della popolazione senza dimora sul territorio comunale, sono stati conteggiati 2204 senzatetto. Di questi, solo 1186 dormono in strutture di accoglienza notturna. Tutti gli altri si concentrano principalmente nelle zone delle stazioni Termini e Tiburtina, nell’area di San Pietro e nella zona della Tuscolana. Di recente, anche Papa Francesco ha esortato la diocesi di Roma a contribuire alla gestione della crisi abitativa, invitando le istituzioni cattoliche a mettere a disposizione eventuali proprietà inutilizzate per ospitare persone senza dimora o residenti a rischio sfratto, in vista dell’afflusso di milioni di pellegrini previsto per il Giubileo.
C’è anche chi la strada l’ha scelta, come Marco. Ha 37 anni, la barba incolta un po’ brizzolata e capelli lunghi raccolti in un codino con il laccio di un paio di scarpe regalatogli da un’anziana signora che lo va a trovare tutte le domeniche pomeriggio per chiacchierare e tenergli compagnia. Cresciuto in una famiglia benestante a Firenze, è un musicista fuori dagli schemi che non ha mai amato le regole. La sua casa è tra i parchi di Roma, in cui si guadagna da vivere suonando la chitarra per i passanti.
È la musica la sua salvezza: «Non ho mai sognato di esibirmi in grandi palchi con artisti famosi, il mio posto è il mondo, non voglio vincoli. Vivere la mia musica in quel modo non sarebbe reale come lo è in strada. Chi si ferma ad ascoltarmi ha scelto di impiegare pochi minuti del proprio tempo per dedicarli a me, e questo non ha prezzo». Anche quando la gente non rimane ad ascoltarlo, però, Marco è felice e si sente parte di qualcosa.
Come per Carlo, la sua situazione è cambiata con l’arrivo dell’Anno Santo. Le autorità tentano di ripulire le aree più centrali in cui saranno concentrati i pellegrini e i turisti. Dicono che è per sicurezza, ma la sicurezza di chi? Io qui non faccio male a nessuno».
Nonostante le difficoltà, Marco non si perde d’animo e continua a dedicare tutto il suo tempo alla musica e alle persone che si fermano a parlare con lui. «La scelta che ho fatto non la capiscono in molti, ma mi sta bene così, non voglio essere capito. Io, ad esempio, non sono credente, ma non mi sento di giudicare chi viene qui a pregare e a cercare la salvezza. Penso che tutti abbiamo bisogno di affidarci a qualcosa o a qualcuno e credo che i fedeli si affidino a Dio come io ho fatto con la musica». Le sue giornate, ormai, sono scandite dalla ricerca di un posto tranquillo dove suonare senza essere allontanato. Durante le festività natalizie la pressione si è fatta ancora più forte: «La città si trasforma in quel periodo, mi piace tantissimo. È piena di luci, di canti. Il problema è che quando si ferma la musica torna tutto com’era. Le crepe vanno riparate, non vanno nascoste».
Queste due vite, così diverse, si intrecciano nella vastità della Capitale che celebra il suo volto più splendente mentre le sue ombre restano celate. Ciascuno porta un peso, una speranza, un rimpianto, un sogno. Carlo e Marco sono invisibili per molti, ma non per chi ha la fortuna di incrociare la propria vita con la loro, anche solo per il tempo di una canzone.