Esclusiva

Gennaio 24 2025
«Roma dà il senso al potere», parla D’Agostino

Non è mai di un solo uomo al comando, dimenticarlo vuol dire finire dalla potenza all’onnipotenza. Parla il fondatore di Dagospia

Roberto D’Agostino, da 25 anni è la mente dietro al primo sito di gossip e retroscena politico in Italia. Su RaiPlay Roma, santa e dannata, il film sull’anima nascosta della città eterna insieme a Marco Giusti.

Cos’è Roma e cosa rappresenta?

Roma vuol dire la civiltà occidentale. Tutto il mondo occidentale ha come fondamenta l’Impero Romano, le leggi, la giustizia romana, da Giulio Cesare a Ottaviano. Tutto nasce da Roma, anche il simbolo del potere che poi è stato preso dai fascisti. Il fascio littorio erano ottanta verghe racchiuse da una corda con al centro un’ascia. E pluribus unum, da molti uno, lo ritroviamo come motto addirittura negli Stati Uniti leggendolo sulla banconota da un dollaro. Il fascio è quello che sta ai piedi della statua di Lincoln a Washington, sta a significare da sempre come Roma abbia dato il senso a quello che oggi noi chiamiamo potere e che non è mai determinato da un uomo solo al comando. Tant’è che nell’antica Roma c’era l’imperatore ma c’era il senato. 

Oggi il potere di chi è?

Roma ci ha sempre detto che il vero potere non è quello di chi arriva a Palazzo Chigi e pensa adesso qui comando io, come abbiamo visto ultimamente nella Seconda Repubblica con Berlusconi, Renzi, Salvini, Conte. Il potere romano è quegli ottanta bastoni legati da una corda. Oggi la cultura del potere purtroppo è stata dimenticata, anche dalla Meloni. 

Si spieghi…

Il potere è qualcosa di più complesso. Come disse Pietro Nenni nel ‘63, quando arrivò a Palazzo Chigi con i socialisti per il primo governo di centrosinistra: dov’è la stanza dei bottoni? Gli risposero, caro Nenni, qui non c’è la stanza dei bottoni perché c’è un apparato, la Corte dei conti, il Quirinale, la Consulta, i servizi, i militari, la ragioneria. Un apparato che va considerato, sennò vai a finire dalla potenza all’onnipotenza e lì casca l’asino, come sempre è successo. Questa lezione è stata dimenticata. 

E il Vaticano? 

In tremila anni la Basilica di San Pietro sta sempre là. Sul Vaticano possiamo leggere i preti pedofili, i casini, i soldi, i furti, lo Ior (la banca vaticana). Orson Welles nel film Il terzo uomo dice: a Roma durante i Borgia sono successi assassini, ruberie, scandali sessuali e alla fine hanno prodotto il Rinascimento, in Svizzera 500 anni di amore cos’hanno prodotto, l’orologio a cucù?

Il merito di Bergoglio? 

Bisogna studiare la storia per capire il presente. Bergoglio ha la capacità, con la grande storia che ha la chiesa alle spalle, di capire lo spirito del tempo. Vedi quando ha detto che stiamo vivendo una terza guerra mondiale, ma fatta a pezzetti. Ci sono cinquanta guerre nel mondo, lui fa il suo grido d’allarme. Infatti tutto il Giubileo quest’anno sarà dedicato alla speranza che possa tornare la pace.

Negli ambienti ecclesiastici questo governo piace?

La chiesa ha un miliardo e mezzo di fedeli, non è quello il problema. Poi chiaramente c’è il Presidente della Cei Matteo Zuppi che interviene, ma non è come si pensa. Il Vaticano non si preoccupa dei fatti politici in Italia. Nel mondo l’informazione di questo paese riprende solo quello che dice il Papa, il resto sono piccinerie.

Con l’amministrazione Gualtieri com’è arrivata Roma all’appuntamento del Giubileo?

All’italiana, con le cose fatte sempre all’ultimo momento. Non è una sorpresa, tutte le cose a Roma avvengono così. Chi è che ha la forza di portare 30 milioni di fedeli in un anno in un posto? L’unico organismo sovranazionale che ha questo potere è la chiesa cattolica. Poi trovano la monnezza, il casino e i lavori in corso, ma la Città Eterna è talmente ricca di tesori che non importa se ha una strada rotta. Stendhal nel libro Passeggiate romane racconta di un suo amico professore tedesco in visita a Roma, che si chiede a cosa servano le rovine, le colonne smozzicate, le macerie del passato. Gli dà la definizione più bella: sai a che serve il Colosseo? A far battere il cuore.