«È una situazione scandalosa: siamo lavoratori come tutti gli altri, ma non abbiamo lo stesso trattamento». Le parole di Agostino Bertolotti, supplente di Storia e filosofia, testimoniano un racconto che somiglia a quello di molti altri insegnanti della scuola italiana che hanno condiviso o condividono ancora oggi lo stesso destino: essere precari ed essere pagati in ritardo.
Il professore parla a nome del “Coordinamento precariə di Bologna”, collettivo nato proprio per aiutare i precari che, oltre a fare il proprio lavoro tra mille difficoltà, devono anche difendersi dal sistema, «perché se non sai certe cose non puoi fare nulla. Nel coordinamento facciamo autoformazione e ci sosteniamo didatticamente e moralmente», illustra Carlotta, anche lei parte dell’associazione, che spiega quali sono i motivi del ritardo nei pagamenti. Prima però ci tiene a sottolineare che è stato difficile anche per lei ottenere queste informazioni.
«In cinque anni di precariato – dice la professoressa – sono stata pagata regolarmente solo un anno perché ho avuto la supplenza fino a fine giugno». La colpa non è delle singole scuole: è un problema ministeriale perché i fondi per pagare gli insegnanti sono allocati su vari capitoli di bilancio e i precari che hanno le supplenze fino al 30 giugno o annuali sono nello stesso capitolo dei docenti di ruolo. Invece chi ha supplenze brevi rientra nelle situazioni straordinarie: questi pagamenti spesso saltano perché i fondi non vengono assegnati in tempo. La condizione dei precari nella scuola italiana è però di fatto ordinaria: secondo un rapporto pubblicato ad agosto dalla Corte dei conti le cattedre assegnate a supplenti sono salite dalle 135 mila dell’anno scolastico 2017-18 alle 232 mila del 2023-24. «Non so il perché, ma se fossi al ministero dopo anni e anni di statistiche farei un conticino a spanne. Un altro problema è il sistema estremamente farraginoso: non c’è un alert che avverte quando i fondi sono allocati per cui le segreterie devono fare controlli manuali», commenta Carlotta.
Una professoressa ci tiene a dare la loro testimonianza, ma preferisce mantenere l’anonimato e rivela che ha appena finito il congedo di maternità obbligatoria e non ha potuto prendere quella facoltativa proprio per rientrare a fare la supplenza: «In questo modo viene meno l’indipendenza di noi donne». Bertolotti intanto racconta la sua esperienza: «Ho iniziato a lavorare a ottobre 2024 e finirò probabilmente a fine gennaio, ma a oggi ho ricevuto solo la prima mensilità. Non ho visto un centesimo della busta paga né di novembre né di dicembre».
Un’esperienza simile l’ha avuta Eugenia Braione, professoressa di Storia dell’Arte del liceo classico Colonna di Galatina (Le): «Due anni fa lo stipendio di ottobre e di novembre 2022 l’ho percepito a gennaio 2023. Mi è successo anche un’altra volta nel 2021: all’epoca mi sembrava strano, ma gli altri mi dicevano che era tutto nella norma». A differenza di molti colleghi, la docente chiarisce che il suo era un problema relativo perché c’era la busta paga del compagno, ma ricorda come «alcuni mesi fosse ugualmente difficile soprattutto a livello psicologico perché sei costretta a lavorare senza essere retribuita: se avessi dovuto sopravvivere da sola non ci sarei riuscita».
Solo un mese fa, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara aveva promesso di risolvere il problema del precariato nelle scuole italiane dicendo: «L’esercito dei precari diminuirà soprattutto tra i docenti di sostegno». Ma le sue parole potrebbero non rispecchiare la realtà dei fatti: secondo il dossier della Federazione lavoratori della conoscenza (Flc Cgil), nell’anno scolastico 2023-2024 si sono registrati 250 mila contratti a tempo determinato e le stime sul 2025 non fanno ben sperare.
Carlotta concentra l’attenzione sul differente trattamento tra docenti di ruolo e supplenti e per spiegarlo chiama in causa il gatto di Erwin Schrödinger. Secondo il ragionamento di uno dei più importanti fisici austriaci del XX secolo, un felino chiuso in una scatola si trova in uno stato indeterminato e non è possibile sapere se sia vivo o morto, l’unico modo per scoprirlo è aprire il pacco. «Così noi precari siamo nella condizione di avere gli stessi doveri di un insegnante di ruolo, ma non gli stessi diritti. Non sapere quando sarai pagata non ti permette di organizzarti la vita, non dico le vacanze, ma anche solo una visita medica».
Il problema del precariato non si ripercuote però solo sugli insegnanti, ma anche sugli alunni: «I ragazzi si devono adattare al metodo di studio di ogni nuovo professore che incontrano. Ogni volta che si entra in una classe, e si ha la fortuna di avere una supplenza lunga, il primo mese è impiegato per conoscerla», racconta Braione. E Carlotta continua: «È un disagio perché non ci permette di fare quello che vorremo con la didattica che è la parte divertente dell’insegnamento. Il docente investe nei ragazzi e loro ti restituiscono tanto. Ogni fine anno mi metto a piangere: gli alunni mi chiedono ‘ci vediamo a settembre prof?’ e io non so cosa dire».
Da questa manovra la maggioranza fa sapere che vede «il sistema scolastico come un posto in cui risparmiare e non come un investimento sul futuro»: la manovra prevede infatti una riduzione di organico di circa 6 mila docenti. Manuela Calza, sindacalista della Flc Cgil, sostiene che il governo usi il tema del calo demografico per giustificare questa scelta, quando in realtà si potrebbero sperimentare nuove soluzioni per favorire l’inserimento di nuovi professori: ridurre i numeri di alunni per classe e aumentare il tempo che i ragazzi passano nelle aule affinché il sistema scolastico possa fare un salto di qualità».