Esclusiva

Gennaio 31 2025
La verità sulla Terra dei fuochi riconosciuta dalla Corte europea

Le storie di Marzia Caccioppoli e Anna Magri testimoniano quanto è accaduto negli scorsi decenni. L’associazione di cui sono fondatrici ha lavorato per aiutare i cittadini e ottenere la sentenza

L’Italia è stata condannata. Dopo 11 anni, la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha riconosciuto come un crimine il versamento di rifiuti nocivi nella Terra dei fuochi. L’espressione si è diffusa agli inizi degli anni 2000, i roghi a cui si fa riferimento sono quelli tossici accesi nei paesi tra Napoli e Caserta. Non si tratta di zone senza vita, ma di una grande area abitata da 2,9 milioni di persone, che hanno guardato per anni la terra bruciare dalle loro case. Caivano, Afragola, Acerra, Giugliano sono solo alcuni dei novanta comuni protagonisti della vicenda nell’area a nord del capoluogo campano. Ma perché per riconoscere una visibile violazione del diritto alla vita è stato impiegato tutto questo tempo?

Quanto è successo negli ultimi decenni sembra seguire una logica paradossale. Che quel terreno venisse ricoperto da sostanze cancerogene era un’informazione nota a tutti. «Lo Stato italiano non ha risposto alla gravità della situazione con la diligenza e la rapidità richieste, nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni», scrive la Cedu. La negligenza dei governi che si sono succeduti nel corso del tempo ha causato la morte di chi per caso o per sfortuna ha sofferto questa violenza. «La politica si voltava dall’altro lato e, in parte, anche la sanità non ha aiutato, rifugiandosi nel negazionismo. Mentre studiavamo il sangue dei malati oncologici pieno di policlorobifenili e sostanze tossiche che non appartenevano alle nostre città, la parte medica non collaborativa si impegnava a negare pur di non ammettere la collusione generale», spiega Marzia Caccioppoli, presidente dell’associazione Noi genitori di tutti.

Caccioppoli vive a Casalnuovo e questa sentenza le è “costata cara”. È stata pagata con la vita di suo figlio e dei tanti altri da cui l’organizzazione è nata. Tra questi c’è Riccardo, morto a 22 mesi come racconta la madre Anna Magri: «Aveva quasi due anni. Era il periodo più difficile. È nato tra il 2008 e il 2009 e Napoli era sommersa dai rifiuti. Lì c’è stata la vera emergenza ecologica, i rifiuti li bruciavano per strada». La correlazione tra ambiente e malattia non era mai stata dichiarata e i medici «non hanno mai detto che si trattasse di inquinamento, per me lo era e dopo anni la Corte ci ha dato ragione. Allattavo il mio bambino al seno, si nutriva attraverso me, attraverso il mio latte. Nel periodo dell’emergenza rifiuti in Campania, quando qui bruciavano di tutto, io ce l’avevo nel pancione».

L’UE oggi riconosce i crimini commessi, «ma nulla potrà portare indietro i nostri figli, proprio nulla». Lo scorso anno, Caccioppoli e Magri hanno incontrato Francesco Schiavone e Nunzio Perrella, boss pentiti e considerati responsabili dell’emergenza della Terra dei fuochi, delle morti e delle malattie dei cittadini. «Quando abbiamo incontrato Perrella quello che abbiamo voluto chiedere è stato “Come ti senti oggi? Hai sprecato una vita a fare del male, ma oggi come ti senti?”. Lui non era pentito. Collaborava ma non c’era nessun ripensamento. Mi ha risposto che non è solo colpa sua. Diceva “Non è stata solo colpa mia, signora”. È un’ammissione. La parola pentito è una parola molto grossa, nel momento in cui l’ho incontrato io non vedevo nessun atto di pentimento. Dice che aveva acquisito non so quanti milioni di euro ed era a festeggiare in un ristorante con una smania di potere esagerata. Noi eravamo il niente, tutto il nostro dolore, le nostre perdite, quelle mani fragili di mio figlio non sono niente in confronto a quello che raccontava lui».

Noi genitori di tutti lavora sul territorio facendo prevenzione, screening alla tiroide, al seno e collaborando con l’oncologo Massimiliano D’Aiuto. «Cerchiamo di fare noi quello che il governo dovrebbe fare. Vogliamo farci sentire dai giovani, cercare di portarli verso la consapevolezza andando nelle scuole di tutta Italia e raccontando quello che è stato fatto e che non deve più accadere. Con le nostre storie e testimonianze proviamo a formare nuove coscienze future». Dalla nuova sentenza l’Italia ha due anni di tempo per intervenire in questi territori affidati fin ora solo alla lotta cittadina. «Abbiamo ottenuto questo risultato perché l’abbiamo voluto, – spiega Caccioppoli – perché abbiamo insistito, perché siamo andati al Parlamento europeo a Bruxelles, ci siamo avvalsi di medici e avvocati, abbiamo portato prove, dati e testimonianze finché non è stato più possibile ignorarci. Tutto questo ha fatto sì che venissero smascherati. Da adesso mi aspetto che almeno qualcuno si preoccupi».