Esclusiva

Febbraio 5 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 11 2025
Case in affitto, ma non per la comunità lgbt

In un Paese dominato da pregiudizi e scarse tutele, l’orientamento sessuale diventa uno strumento di discriminazione

«La signora vorrebbe affittare a persone più normali» è la motivazione che Andrea Papazzoni, trentaquatrenne milanese, si è sentito dare per la mancata chiusura del contratto di una nuova casa. Il motivo? Il suo orientamento sessuale.

L’episodio risale allo scorso anno, quando il manager ha iniziato a cercare un nuovo appartamento a Milano insieme al suo compagno: «Io sono libero professionista da sempre, all’epoca dei fatti lavoravo nella musica, ora invece organizzo grandi eventi, mentre lui è un medico nel settore pubblico e ognuno di noi aveva già la sua casa di proprietà. Sembrano informazione sciocche, ma non lo sono perché iniziamo a cercare case in affitto con un reddito alto e con un lavoro stabile».

Un’agenzia immobiliare propone loro una sistemazione perfetta, proprio davanti alla discografia in cui lui lavorava: «Era di proprietà di una coppia di signori non troppo giovani. Facciamo la proposta e inviamo i documenti reddituali che ci vengono approvati dalla società. Li mandiamo poi alla proprietaria per capire quando potevo entrare nell’appartamento».

L’affare sembrava concluso, fino a quando l’agente immobiliare gli comunica che i documenti reddituali andavano bene, ma che la signora avrebbe voluto affittare a persone più “normali”, cioè meno “artistiche”. «All’inizio mi aveva detto che il problema era il mio lavoro, perché potevo mettere musica ad alto volume e disturbare. Ma io facevo il discografico, non il musicista. Alla fine il vero motivo è che volevano una coppia “normodotata”, come l’hanno definita loro», spiega lui.

Di fronte a questa discriminazione decide di pubblicare un video denuncia su TikTok, diventato virale in poco tempo e raccogliendo così il supporto di tante persone. Eppure, Andrea si considera un privilegiato: «Non ho denunciato tanto per me, perché io sono un uomo cis bianco mediamente borghese e nonostante questa cosa mi abbia fatto del male avevo comunque una casa dove dormire. Ma ho pensato a chi non aveva questo privilegio: la battaglia che ho combattuto era per quelli più “deboli” di me, che purtroppo sono tantissimi, la maggioranza».

Secondo la legge, infatti, tutto ciò è legale: il locatore è libero di scegliere se e a chi dare il proprio appartamento perché l’obbligo di contrarre con tutti e senza distinzioni esiste solo per la pubblica amministrazione, per i servizi pubblici o di pubblico interesse.

Online, soprattutto sui social media come Facebook, i giovani cercano in gruppi gayfriendly un posto dove vivere, nel tentativo di evitare esperienze spiacevoli.

Case in affitto, ma non per la comunità lgbt

A fronte di dinamiche diverse e disparate è difficile rilevare dati specifici sul fenomeno, come spiega Alessandra Rossi, coordinatrice della Gay Help Line – contact center anti omotransfobia del Comune di Roma e Centro Antidiscriminazione dell’ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali –  gestito dall’Associazione Gay Center: «Noi siamo un servizio di ascolto, quindi le persone si rivolgono a noi per segnalare discriminazioni di vario genere, tra cui confermo anche quelle legate all’abitare e in particolare alle possibilità d’affitto. Non più di un anno fa abbiamo denunciato una situazione in cui a due ragazzi non è stata affittata una casa vacanze in centro perché il problema è che avrebbero utilizzato la stanza come coppia. Uno dei due ragazzi si è reso disponibile anche a pubblicare gli audio che aveva ricevuto dalla persona che non aveva voluto affittare. Contenuti omofobi pieni di insulti».

In questo caso esiste uno spazio di manovra più ampio perché le strutture ricettive hanno bisogno di una licenza comunale per operare sul territorio. Essendo un’attività commerciale «non si può limitare l’accesso per questioni discriminatorie, come accadrebbe per un privato. E in quel caso si può chiedere di intervenire come comune, ma non come parte lesa», specifica Alessandra.

Anche quando si riesce ad ottenere un alloggio, non è escluso che possano esserci reazioni dal vicinato. L’ultimo fatto di cronaca noto è quello di Marco e Andrea, due cinquantenni uniti civilmente da anni e conviventi a Roma Est, che hanno subito minacce verbali da parte di alcuni vicini, seguite da intimidazioni fisiche: panni intrisi di acido e varechina appesi sulle recinzioni del loro giardino. Lo scorso dicembre la coppia ha denunciato per stalking e atti intimidatori, presentando referti medici che mostrano le infiammazioni respiratorie causate dalle sostanze chimiche.

In una città come Roma, dove il mercato degli affitti è caratterizzato da spazi insufficienti e prezzi proibitivi, tutto questo ha un impatto significativo: «Sempre più spesso ci chiedono una mano per lavorare di rete nell’individuazione di stanze o case, pur non avendo un servizio specifico, cerchiamo di mobilitare i volontari. Se guardiamo al breve periodo, cioè l’ultimo anno, non parlerei di passi avanti, anzi. L’influenza del discorso pubblico a livello nazionale e internazionale sulla considerazione delle persone della comunità LGBTQIA+ è cambiata in peggio, legittimando chi attua forme di discriminazione e violenza. Anche pensare di poter negare un affitto o il diritto all’abitazione è qualcosa che si fa molto più di frequente perché si ha un senso di impunità maggiore», conclude la coordinatrice.