Maria Callas, Nilla Pizzi, Dalida. Tra le clienti più illustri della Maison Daphnè compaiono alcuni dei nomi più famosi del panorama musicale. Per l’artista francese, Daphné ha realizzato l’elegante abito in jersey di seta rossa, poi non indossato per via della tragica scomparsa di Luigi Tenco.
Quando si varca la soglia della Maison, a pochi passi dal Casinò di Sanremo, si ha l’impressione di tornare indietro nel tempo. L’eleganza è in ogni cosa, dagli arredi bianchi in stile classico agli abiti appesi in ordine cromatico. «Fino agli anni ‘60 la moda italiana imitava lo stile francese. Le clienti cercavano quello, anche se molti abiti venivano realizzati con tessuti italiani», spiega Barbara Borsotto, figlia della fondatrice Annamaria Daphne. Da qui la scelta di accentare il nome dell’atelier, unico modo per farsi spazio nel mercato tessile del tempo. «Mia madre ha iniziato a lavorare a 14 anni nella sartoria Jeanne Marguerite, apprendendo il mestiere con dedizione e sacrificio – racconta – All’epoca, le sarte non insegnavano: bisognava rubare il mestiere con gli occhi. E lei ha imparato così, osservando, assorbendo ogni dettaglio, fino a diventare una grande sarta e creatrice di moda».
Oggi la signora Daphne si gode un po’ di riposo, nonostante la passione per il lavoro la riporti spesso tra le clienti del negozio. A occuparsi dell’azienda sono Barbara e la sorella Monica, entrambe con studi all’Accademia del Costume di Parigi: «Per noi la moda è vita. Siamo cresciute tra i tessuti. Io a dodici andavo a prendere la lavanda per riempire i sacchettini con i nostri tessuti e venderli sulle scale della chiesa a Limone».
Sanremo, con il suo Festival della canzone e il passato da città cosmopolita, ha giocato un ruolo cruciale per il successo della maison. «Negli anni ’50, prima ancora che Firenze diventasse la culla del Made in Italy, qui si teneva il Festival della Moda Italiana», racconta Barbara. «Mia madre ebbe la fortuna e il talento di lavorare in un ambiente dove si incrociavano aristocratiche inglesi, nobildonne russe e personalità del jet set. Questo ha permesso alla nostra sartoria di crescere e farsi conoscere».
Tra le prime clienti illustri di Annamaria ci furono la figlia del celebre direttore d’orchestra Arturo Toscanini, Wally Toscanini, e la contessa d’Aquarone. «Mia madre ha creato per loro abiti da sera per eventi importanti come quelli alla Scala di Milano. Da lì si è diffusa la voce sulla sua bravura e la sartoria ha iniziato ad attrarre clienti di alto profilo», ricorda Barbara, così curata che mentre parla si fa fatica a non farsi distrarre da ciò che indossa. Gli abiti creati sono tanto belli che neanche i reali resistono al fascino: frequenti le visite della principessa di Monaco Grace Kelly, da cui negli anni ‘80 è nato il motivo “Rose Grace”, uno dei più richiesti. La moda cambia e si adegua a tempi e nuove necessità, senza perdere il legame col territorio: «Crediamo nella sostenibilità, nell’uso di tessuti biologici come il cotone organico e materiali innovativi come la fibra d’arancia e la ginestra – spiega Barbara – Ogni nostra creazione ha un legame con la natura e con la storia della Riviera dei Fiori».
Accanto agli abiti, ci sono i foulard, opere d’arte su seta, come racconta Barbara: «Uno dei pezzi più celebri è l’orchidea Nobel, donato ai vincitori del 1983 e conservato a Stoccolma». In occasione dei Giochi olimpici di Parigi l’atelier ha creato un foulard che omaggia lo sport e la parità di genere. Non è la prima volta che i temi sociali entrano nella sartoria sanremese, grazie alle collaborazioni con le case circondariali e i progetti di reinserimento sociale.
Il futuro dell’atelier potrebbe ora proseguire con una terza generazione: «Mio nipote ha 14 anni e ha scelto di frequentare l’Istituto di Moda», conclude Barbara. Un altro pezzo di famiglia che entra nel mondo Daphnè.