«Le burocrazie, si sa, sono spesso corrotte e corruttibili», dichiara Stefano Morea, Segretario Generale della Cgil-Flai, la Federazione dei Lavoratori dell’Agroindustria. Le indagini hanno portato alla scoperta di un sistema internazionale di corruzione, fatto di Rolex, tablet e viaggi a Dubai, in cambio di visti lavorativi per cittadini bengalesi. Attualmente, cinque persone sono sotto inchiesta, tra cui due funzionari dell’Ambasciata italiana a Dhaka. Al centro dell’indagine c’è Islam Nazrul, proprietario del ristorante romano “Il Siciliano Fish”, ritenuto la mente del sistema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Nazrul è un imprenditore di sessant’anni originario del Bangladesh. Secondo le ricostruzioni, avrebbe creato un sistema basato sulla corruzione di funzionari per portare lavoratori bengalesi in Italia. Un sistema illecito di rilascio di visti per cittadini bengalesi, che pagavano da 7 mila fino a 15 mila euro per entrare in Italia. Sfruttando il Decreto Flussi, il ristoratore individuava aziende italiane, talvolta fittizie, disposte ad assumere i lavoratori stranieri, permettendo così il loro ingresso legale. Per accelerare le pratiche, l’accusa suppone corrompesse i funzionari dell’ufficio visti a Dhaka con denaro, oggetti di lusso, viaggi aerei e investimenti immobiliari negli Emirati. Tuttavia, molti dei bengalesi adescati, una volta arrivati in Italia, non trovavano il lavoro promesso, rimanendo all’interno di un limbo di illegalità.
L’indagine è stata avviata dalla Guardia di Finanza di Roma grazie alla denuncia del deputato di Fratelli d’Italia Andrea Di Giuseppe, parte della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati. Secondo quanto dichiarato dall’Onorevole Di Giuseppe, Nazrul avrebbe tentato di contattarlo per corromperlo e ottenere il suo supporto nel favorire il rilascio di visti illegali. Il compenso per la collaborazione sarebbe ammontato a due milioni di euro, corrispondente a un quarto dei guadagni totali derivanti dal traffico.
Il caso si inserirebbe in un più ampio sistema di corruzione radicato a livello internazionale. Il segretario Cgil-Flai Stefano Morea ha spiegato: «Qualcuno potrebbe dire che non si può attribuire la responsabilità al governo attuale, perché si tratta di un modello che va avanti dai tempi della legge Bossi-Fini», la normativa che dal 2002 disciplina l’immigrazione. «Da parte mia non ho alcun pregiudizio», continua: «Non credo che il confine tra buoni e cattivi si identifichi con l’appartenenza a un partito politico, ma si misuri piuttosto attraverso le azioni. Tuttavia, è innegabile che chi governa possa usare le leve del potere per cambiare le cose».
Le indagini proseguono, con Carabinieri e Guardia di Finanza impegnati nella ricostruzione della rete di immigrazione. Rimangono inoltre sospetti sul possibile coinvolgimento di funzionari delle Prefetture di Roma e Napoli nel rilascio dei nulla osta per i visti. Il caso non è ancora stato accertato, ma accuse ufficiali potrebbero far luce su un sistema di aziende che sfruttano il Decreto Flussi per promettere posti di lavoro in Italia, chiedendo ai lavoratori stranieri cifre altissime per ottenerli, e su intermediari che si arricchiscono grazie a questa rete illegale.