I moscoviti chiamano il loro Paese “Matushka”, “Madre”. Un termine carico di simbolismo che evoca un’immagine di affetto,protezione e sacralità. Ma quando si parla di Russia e Ucraina, questa parola assume sfumature complesse, legate a secoli di storia e di guerra geopolitica. Il popolo ucraino combatte per la liberazione dei territori invasi da Putin dal 24 febbraio 2022, ma la lotta per l’indipendenza va avanti da decenni. In psicologia questo lento e sofferto processo viene definito di “separazione e individuazione”. Fu elaborato per la prima volta dalla specialista Margaret Mahler, che l’ha riconosciuto come il periodo in cui il bambino sviluppa il senso di sé come individuo distinto dalla madre. Una fase che può diventare dolorosa in presenza di una figura genitoriale autoritaria.
Ma non tutti i figli della “Matushka” l’hanno abitata per molto tempo. Valerio è un ragazzo di 26 anni, vive in Italia da quando aveva undici mesi. Biondo, occhi azzurri, porta tatuato sul braccio sinistro, in cirillico, il nome del suo Paese d’origine, “Russia”. È stato concepito lì, nel 1998 e poi adottato da genitori italiani di cui è orgoglioso ma sente forte la sua appartenenza al luogo di nascita. «Sono fiero del mio aspetto, quando mi parlano in inglese pensando che io sia straniero mi sento sollevato. Essere russo è parte di me e non lo rinnegherei mai, il mio sangue è quello. Qui in Italia la maggior parte delle persone di etnia russa tende a nascondersi. Ci ho fatto caso per la prima volta dieci anni fa, quando scoppiò la guerra in Crimea». Valerio non è figlio unico, suo fratello Kostyan è nato a Mariupol, nel Sud-est dell’Ucraina. «Lui non è interessato quanto me alle sue origini e poi penso che se tornasse lì ora per conoscere il suo passato non troverebbe altro che macerie» -dice ironizzando- «a volte posso sembrare un po’ cattivo a commentare in questo modo quello che succede, ma preferisco prenderla così. Quello che dico è vero, adesso non ci sono che resti nella sua città. È una situazione drammatica».

La disillusione deriva anche da una snervante attesa di ritrovare la strada di casa. Una curiosità che è cresciuta in lui nel corso degli anni e che è rimasta sospesa proprio un attimo prima di poterla soddisfare. «Avevo 16 anni quando espressi il desiderio di visitare San Pietroburgo, dove sono nato. Mio padre mi sosteneva, ma ero ancora troppo piccolo per andarci. Nel 2022 ci stavamo organizzando per avere il passaporto e arrivare lì, ma la guerra ci ha fermato. Il prossimo obiettivo, appena si potrà, sarà passare un po’ di tempo lì. Se riesco, lo ammetto, forse cercherei anche i miei genitori biologici». Finché il conflitto andrà avanti la loro ricerca personale dovrà aspettare. Questi anni in casa li hanno affrontati ridendo del paradosso del loro rapporto fraterno: «Ucraino, russo, italiano non mi cambia nulla, è mio fratello. E poi le etnie non sono così distinte. In passato, anche recente, non c’era questa forte separazione».
La storia dell’Ucraina è una storia di popoli, lotte e diritti negati dal continuo ripetersi di sopraffazioni e violenze. È anche la storia di milioni di uomini e donne, russi e ucraini, non da sempre così divisi come si può pensare. Nei primi anni 2000, fino alla guerra di Crimea, erano circa 8 milioni le persone di etnia russa residenti nei territori ucraini. La popolazione si è rimescolata dopo il 2014 e, negli ultimi anni, la demografia del Paese ha subito nuovi cambiamenti con una diaspora verso gli Stati dell’UE. Adesso le trattative per la pace vedono Kiev sempre più relegata in un angolo, tra USA e Mosca. «È una questione politica, di guerre tra Stati, di sovrastrutture. Tutte cose che non possiamo comprendere fino in fondo anche se ne siamo a conoscenza. Io aspetto che finisca, a prescindere dalle motivazioni, sono stanco di vedere sofferenza. Voglio ricominciare il mio viaggio verso San Pietroburgo».
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