La domanda è chiara e diretta: «C’è ancora spazio per la verità in Russia?». La risposta, secca e lapidaria: «Al momento no». Lo racconta Rosalba Castelletti, giornalista di “La Repubblica”, corrispondente da Mosca dal 2017. Castelletti, cercando di raccontare la verità di un Paese controverso e di una guerra di difficile interpretazione, quella fra Ucraina e Russia, si è fatta dei nemici. Perché raccontare la verità, talvolta, porta a diventare il cattivo per quelli ai quali non conviene.
Dopo aver lavorato in Russia da quasi dieci anni, Castelletti si è fatta un’idea chiara dello stato dell’industria dell’informazione nel Paese e del clima politico che si respira.
«Oggigiorno orientarsi in questo universo digitale è complicato, perché si ricevono input da diverse fonti contemporaneamente e non solo da fonti ufficiali», spiega Castelletti. «Specialmente in Russia, non c’è un panorama informativo affidabile. Devi fare affidamento anche sulle notizie online e sui social, ma devi imparare a distinguere le fonti».
In Russia, molti dei media non statali hanno chiuso negli ultimi anni: “Novaya Gazeta“, la radio “Eco di Mosca”, l’emittente televisiva “TV Dozhd”. Il minimo comune denominatore era l’essere media indipendenti. Come spiega Castelletti, sono stati tutti colpiti duramente dalle leggi contro le fake news approvate il 4 marzo 2022, che affibbiano responsabilità penale a chi scredita l’esercito. «Se con noi giornalisti occidentali c’è una certa tolleranza, ovviamente non ce n’è nessuna con i russi», spiega la giornalista.
Alcuni media hanno continuato la loro attività attraverso una migrazione su Telegram, come il quotidiano “Meduza” o il sito di news “Important Stories”. «Telegram è al momento l’unica fonte di informazione non manipolata». Tuttavia, è necessario un VPN per accedervi. Castelletti stessa è costretta a usare una di queste reti private virtuali per accedere al sito di “Repubblica”, tra i giornali esteri banditi in Russia.
Attraverso il social network, ex emittenti di notizie gestiscono blog in continuo aggiornamento e pubblicano notizie senza passare per la visura del Cremlino. Il problema è che circolano anche fake news, soprattutto grazie al diffuso anonimato. «Alcuni canali si spacciano per vicini all’FSB, le forze di sicurezza russe, e al Cremlino. Ma, primo, non è sempre così; e poi l’FSB e il Cremlino vogliono anche far passare una loro lettura delle cose. Quindi devi imparare a quali fonti affidarti», precisa Castelletti.
Che siano autoctoni o stranieri, molti media sono ormai definiti “entità non desiderate”, afferma Castelletti. Eppure, la situazione per lei non è sempre stata così ostile. Anzi, racconta di come un tempo essere italiani fosse quasi un lasciapassare. «Tutti adorano l’Italia», diceva la gente in Russia, sia per strada che in politica.
Oggi, però, le tensioni diplomatiche tra i due Paesi si sono inasprite, soprattutto dopo i recenti scontri tra il presidente italiano Sergio Mattarella e la portavoce del Cremlino Maria Zakharova riguardo il ruolo della Russia nella guerra con l’Ucraina. Per questo motivo, secondo la testimonianza di Castelletti, aumenta sempre di più l’ostilità dei russi verso i media Italiani presenti nel paese. Di questi, sono rimasti sul posto solo “Repubblica”, “Ansa” e “Rai”. Tutti fuori, invece, quelli americani e britannici.
Per chi è rimasto, Castelletti racconta che portare a termine il proprio lavoro non è semplice. A partire dal rinnovo dell’accredito giornalistico per la propria presenza nel Paese, prima da rinnovare una volta l’anno, ora ogni tre mesi. «All’inizio ho intervistato deputati, viceministri con (non) molta facilità, ma dopo un certo periodo in cui chiedevi un’intervista, la ottenevi», spiega Castelletti. «Adesso non ti dicono esplicitamente di no, ma ti tengono in sospeso per tanto tempo e alla fine l’intervista non te la concedono più».
Secondo la giornalista, la reticenza a parlare con i giornalisti non riguarda solo politici e persone di rilievo, ma anche la gente comune: sia per sospetto verso un media straniero, sia per paura di parlare con un giornale, cosa che potrebbe costare il carcere. «Per strada la gente era contenta di incontrare un italiano. Ultimamente, invece, su 15 persone che fermo per strada, ne parla una. Ed è una media ottimistica».
Come racconta Castelletti, le pressioni sui giornalisti si riflettono anche sui semplici cittadini, e un giornalista ha la responsabilità di proteggere queste voci. «Dico sempre loro, dopo averli intervistati, che se c’è qualcosa che mi hanno detto e si rendono conto che potrebbe metterli in difficoltà, di dirmelo, e io non la pubblicherò».
In questo panorama complesso delineato dalla reporter, portare la verità in Russia sembra non essere semplice. I media vengono continuamente etichettati come organizzazioni ostili allo Stato, spiega. Alcuni siti web hanno persino adottato banner che intimano ai lettori di non condividere né interagire con i loro contenuti sui social.
Secondo il suo racconto, chiunque voglia accedere a informazioni non manipolate deve farlo tramite canali trasversali, come Telegram. Tuttavia, non tutti hanno la capacità di muoversi nel web e tra i media: «Sono canali che possono usare solo quel 20% della popolazione giovane o con abbastanza mezzi da sapersi orientare in questo panorama informativo totalmente repressivo». Il resto della popolazione, privo della necessaria “media literacy”, ne rimane escluso.
Complice è anche l’educazione “putiniana”, spiega Castelletti: «In questi tre anni la scuola è stata totalmente militarizzata, diventando il primo anello della catena di propaganda», già a partire dall’asilo. I programmi scolastici prevedono ore di addestramento militare obbligatorio, incontri con veterani, libri di testo revisionati. In sintesi, secondo Castelletti, la scuola sta creando automi.
Ma nel raccontare la guerra tra Ucraina e Russia, gli attacchi non arrivano solo da uno dei due fronti. «Questo lavoro ti rende impopolare. Prendi pugni dagli ucraini perché, per il solo fatto che tu sia a Mosca, pensano che tu sia filorusso. Prendi pugni, molti più pugni, da chi invece sostiene la narrazione putiniana, perché a loro dà fastidio quello che racconti».
Tra settore in crisi, social network e disinteresse del pubblico, essere un giornalista nel 2025 non è facile. Il lato peggiore di questo mestiere è la difficoltà nel portare la verità alle persone. In Russia, come racconta Castelletti, tutto ciò è ancora più complesso. «In questo momento è come in “1984” di George Orwell, dove la verità è il falso e il falso è la verità». Insomma, per i giornalisti sul palcoscenico del fronte russo-ucraino, la verità si sovrappone alla letteratura, in un universo in cui la distopia non sembra più un’opera di immaginazione.