Esclusiva

Aprile 17 2025
Quanto beve ChatGpt, l’impatto ambientale dei data center

Tutti usano i chatbot ma in pochi sanno quanto consumano. Ogni conversazione con l’Ai ha bisogno di almeno mezzo litro d’acqua

C’è chi la usa per progettare, chi per creare immagini o fare i compiti a casa. Qualcuno anche per scriverci un libro. Chiunque ormai ‘conversa’ con l’intelligenza artificiale generativa. Ma in pochi sanno che i chatbot richiedono tantissima energia. Ad alimentarli sono i data center, delle strutture dove vengono ospitati server e sistemi di rete per archiviare, gestire ed elaborare grandi quantità di dati.

Quanto beve ChatGpt, l'impatto ambientale dei data center
IL DATA CENTER PERMETTE AGLI UTENTI DI USARE INTERNET E, QUINDI, L’AI GENERATIVA

Hanno bisogno sia di elettricità che di acqua. In grandi quantità, come ammette ChatGpt stesso. «In quanto Ai non consumo direttamente, ma i data center che mi ospitano sì. E anche parecchio!». Per addestrare Gpt-3 sono serviti 1.287 MWh (megawattora), cioè l’energia usata in una casa americana per 120 anni. E per la versione successiva (Gpt-4), si stima un fabbisogno fra le 10 e le 100 volte superiore. Oggi, ogni domanda, necessita in media 3 watt, cioè quanto una lampadina a Led accesa per un’ora.

L’acqua viene utilizzata per raffreddare i data center. E con la diffusione dell’Ai, la richiesta è arrivata a circa mezzo litro per per ogni conversazione (dalle cinque alle dieci domande). Nel 2023, quando ChatGpt esisteva da appena un anno, il Financial Times ha raccolto i dati negli Stati Uniti: 284 miliardi di litri in un anno, cioè quanto consuma Londra in quattro mesi.

Le aziende stanno cercando soluzioni alternative per alimentare i data center. Microsoft ha testato l’uso di piccoli reattori nucleari modulari, mentre altre realtà puntano su impianti solari o parchi eolici dedicati. In Islanda, grazie all’energia geotermica, stanno nascendo hub tecnologici a impatto quasi zero.

Oltre al lato della sostenibilità, c’è quello economico, dato il costo dell’energia. Questo non frena gli investitori: il mercato globale è in crescita. Nel 2025, secondo Statista, il mercato arriverà a valere 450 miliardi di dollari (con il dominio degli Usa, con 138 miliardi). L’aumento previsto è dell’8,7% all’anno e nel 2029 raggiungerà i 624 miliardi.

L’Europa investirà per occupare una fetta importante di mercato. Dietro agli Stati Uniti, in cui ci sono quasi 5400 data center, c’è la Germania, con 521. L’Italia ne ha 168 ed è dodicesima al mondo, la quarta fra i membri dell’Unione. La maggior parte (115) sono al Nord, concentrati nella provincia di Milano in particolare (57, come riporta Data Center Maps). Opportunità ma anche rischi, come ha spiegato la dirigente della Regione Lombardia Elisabetta Confalonieri lo scorso marzo: «La rete elettrica rischia dei blackout. Noi da soli non possiamo gestire questo carico per tutta l’Italia, se poi il territorio non ne trae effettivi benefici».

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Secondo un rapporto del Politecnico di Milano, gli investimenti raggiungeranno i 10 miliardi di euro tra il 2025 e il 2026. Tra gli attori ci sono Microsoft e Amazon, ma anche alcuni nazionali come Tim, che ha annunciato un progetto da 130 milioni vicino a Roma. In attesa di scoprire l’azienda straniera, rimasta anonima, che investirà 30 miliardi di euro in Italia, come ha annunciato il ministro dell’Industria Adolfo Urso a fine 2024.

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