Erika Raballo è seduta nella cabina dell’F-35B, casco allacciato, dita salde sui comandi. Davanti a lei, la pista della portaerei Cavour si confonde con l’infinito blu del mare. Tutto è pronto, l’adrenalina sale. In un attimo, si staccherà dalla superficie per decollare verso il cielo. «Ogni volta che accendo il motore, mi sento esattamente dove ho sempre voluto essere». Raballo ha 28 anni, è nata ad Alba, in Piemonte, e ha scritto una pagina di storia diventando la prima donna pilota di aerei da combattimento della Marina Militare italiana.
La sua storia comincia presto, a soli quindici anni, quando decide di lasciare casa per frequentare la Scuola Navale Militare Francesco Morosini di Venezia. «Da allora non ho mai tolto le stellette e la divisa della Marina», racconta. Il suo sogno, però, sembrava ancora lontano. «Quando avevo come sfondo gli Harrier e vedevo la patch del gruppo aereo imbarcato, c’erano diverse persone che mi dicevano: “Guarda che non c’è mai stata una donna, non ci sarà mai, non fa per te”. Ma io ci ho creduto fino in fondo. Non mi sono posta limiti e ho sbattuto la testa contro diversi muri. Oggi sono qui e mi sento felice, realizzata e molto fortunata».
Il percorso è stato lungo e impegnativo. Per diventare pilota operativo ha dovuto trascorrere tre anni e mezzo negli Stati Uniti, affrontando un addestramento fisico e psicologico serrato. «È molto tosto: ci sono prove in acqua, a terra e in volo. Il corpo deve saper reagire alle forze che subisce quando voliamo ad alte velocità. È fondamentale anche il lavoro sui simulatori e l’addestramento teorico. Solo alla fine siamo pronti per fare i primi passi su un aereo tattico come l’F-35B». E proprio su quel jet, simbolo di potenza e innovazione, ha vissuto il momento più difficile – e allo stesso tempo più emozionante – della sua carriera: «Il primo appontaggio sulla portaerei Cavour. È successo poco più di un anno fa. Mi trovavo sopra la nave, con tutti gli specialisti che mi guardavano: le gambe tremavano, un’emozione indescrivibile».
Durante l’esercitazione Mare Aperto 2025, il ruolo di Raballo e degli altri piloti è stato centrale. «Come gruppo imbarcato abbiamo protetto la nostra flotta sfruttando le capacità aerotattiche sia in difesa, sia nella proiezione verso la terra. Un lavoro strategico, di precisione e responsabilità».
La sua attività quotidiana è scandita da regole precise: «Da protocollo dovrei dormire almeno otto ore a notte. Non posso volare se ho raffreddore, o le orecchie e il naso chiusi. In volo serve il massimo dell’efficienza».
E poi c’è la passione, che traspare dai suoi occhi e da ogni parola: «Il mio posto preferito per esercitarmi è sul mare. Posso guidare a un’altitudine più bassa e alla massima velocità, rompendo la barriera del suono. Ma anche la terra ha il suo fascino: dall’alto i paesaggi sono mozzafiato». Volare da una portaerei, poi, è qualcosa di unico. «C’è un che di romantico nell’operare da bordo. A differenza dei piloti dell’Aeronautica, noi abbiamo una pista corta che si muove. Quando decolli, sai che al tuo ritorno la nave non sarà più dove l’hai lasciata. Devi cercarla, devi fidarti di quello che hai imparato. Quando metti in moto e vedi solo cielo e mare davanti, ti vengono i brividi».
La concentrazione è fondamentale: «Quando sono alla guida, il mio cervello è focalizzato solo su quello. Tutto il resto scompare». Per questo Raballo sa bene quanto servano determinazione e sangue freddo. E lancia un messaggio forte, soprattutto alle ragazze che sognano di seguire la sua strada: «Da donna mi sento di dire che il genere non impedisce nulla. La passione è la prima cosa. Poi serve un pizzico di coraggio, ma se ci credi, ce la puoi fare».
Oggi Erika è ancora all’inizio della sua carriera operativa, ma guarda al futuro con entusiasmo: «Mi aspetto anni ricchi di soddisfazioni, con esercitazioni internazionali e cooperazione con altri assetti e nazioni». La dedica che lascia ai giovani che sognano di diventare piloti è «di non lasciarsi fermare dalla paura. Nella vita bisogna rischiare. Il pensiero di fallire non può impedirci di vivere i nostri sogni».
Leggi anche: La lettera Zeta, iscriviti alla newsletter su Substack