Esclusiva

Aprile 19 2025
Come gli Algoritmi plasmano le nostre decisioni

Le tecnologie persuasive guidano silenziosamente le nostre scelte. Tra marketing, controllo politico e algoritmi, la nostra libertà è sempre più un’illusione.

Scorriamo gli schermi dei nostri smartphone credendo di essere liberi di scegliere cosa vedere, leggere, ascoltare o comprare. Ma spesso sono le tecnologie stesse a guidare quelle scelte, senza che ce ne accorgiamo. Dai social network agli assistenti vocali, dagli algoritmi che decidono cosa mostrarci a quelli che analizzano i nostri comportamenti, siamo sempre più circondati da strumenti progettati non solo per assisterci, ma per influenzarci.

Si chiamano tecnologie persuasive: sistemi digitali sviluppati per modificare attitudini, comportamenti e decisioni sfruttando le vulnerabilità cognitive e fisiologiche degli utenti. Dietro la promessa di personalizzazione e comodità si nasconde però un lato oscuro, fatto di manipolazione, sorveglianza e controllo.

«Il discorso sulle tecnologie persuasive è antico», spiega il professor Filiberto Brozzetti Assistant Professor (Research) in Data Protection Law, Law & Ethics Of Innovation & Sustainability «risale a una trentina d’anni fa, quando si è cominciato a capire che anche l’informatica poteva diventare un vettore per utilizzare strumenti manipolatori nei confronti del pubblico. All’epoca si iniziò a parlare di captologia. Una disciplina che integra molte aree – tecnologia, scienze cognitive, marketing, economia comportamentale – e che cerca di capire come si riesce a influenzare il comportamento umano.»

Se da un lato queste tecnologie sembrano innocue – o addirittura utili – nel quotidiano, dall’altro sollevano interrogativi quando entrano nella sfera della sicurezza nazionale, della privacy e della libertà individuale. Soprattutto quando a usarle in modo strategico sono attori statali come la Cina, che le impiegano per rafforzare il proprio potere all’interno e 

Un recente rapporto dell’Australian Strategic Policy Institute (ASPI) sottolinea come l’adozione rapida di tecnologie persuasive—come l’intelligenza artificiale generativa, le tecnologie ambientali e la neurotecnologia—stia ponendo sfide significative alla sicurezza nazionale. Queste tecnologie interagiscono con la mente e il corpo umano in modi più intimi e, rispetto alle tecnologie precedenti, consentono di influenzare opinioni e azioni senza la consapevolezza degli utenti. Il rapporto evidenzia la necessità urgente di approcci normativi proattivi che mettano al centro la privacy e l’autonomia degli utenti, per garantire che le persone possano ancora scegliere consapevolmente come interagire con la tecnologia.

«In Oriente, come nel caso della Cina», continua Brozzetti, «queste tecnologie vengono impiegate a fini politici: l’obiettivo è condizionare il comportamento dei cittadini. In Occidente invece l’interesse è di tipo consumistico: non si vuole tanto che il cittadino obbedisca, quanto che il consumatore acquisti ciò che si vuole vendergli.»

In Cina, le tecnologie persuasive non sono solo strumenti di marketing o intrattenimento: sono diventate parte integrante di un vasto sistema di sorveglianza e controllo sociale. Il governo cinese utilizza queste tecnologie per orientare i comportamenti dei cittadini, rafforzare il consenso e reprimere il dissenso. Il sistema di credito sociale, ad esempio, premia o penalizza i cittadini in base alle loro azioni – anche online – grazie a un’infrastruttura digitale capace di monitorare in tempo reale abitudini, preferenze e relazioni. Attraverso social network, app di pagamento, telecamere intelligenti e piattaforme di messaggistica, il Partito Comunista Cinese costruisce una forma di persuasione sistemica che si traduce in conformismo e autocensura.

Secondo quando riportato dall’ASPI, il Partito Comunista Cinese (PCC) sta diventando leader mondiale nello sviluppo e nell’uso di queste tecnologie persuasive. Il governo cinese obbliga le aziende tecnologiche nazionali a collaborare con lo Stato e a supportarne gli obiettivi di sicurezza e propaganda, sia a livello interno che internazionale. Aziende come Midu, che sviluppa strumenti di intelligenza artificiale generativa per monitorare e indirizzare l’opinione pubblica, Suishi, che progetta tecnologie in grado di rilevare emozioni in tempo reale, e Goertek, specializzata in dispositivi indossabili e realtà virtuale, collaborano direttamente con le autorità statali, spesso anche in ambito militare. Queste tecnologie, nate per scopi apparentemente commerciali, vengono sempre più spesso impiegate in campagne di disinformazione, propaganda mirata e persino operazioni psicologiche contro paesi stranieri, minacciando valori democratici e diritti umani.

«Un esempio interessante è anche TikTok,» aggiunge Brozzetti, «che ha un suo gemello in Cina, anche se non si chiama TikTok. L’interfaccia è la stessa, funziona uguale, ma i contenuti sono completamente diversi. Nel TikTok cinese trovi tre tipi di contenuti principali: il primo esalta il popolo cinese e le sue conquiste – ponti, strade, missioni spaziali. Il secondo è educational, quindi contenuti scientifici, storici, filosofici, anche se in formato breve. Il terzo mostra immagini apocalittiche dell’Occidente: tossicodipendenti per strada, incendi, degrado morale.»

«Nel TikTok occidentale, invece,» prosegue, «sta crescendo sempre più l’integrazione con TikTok Shop. Vedi un video e subito puoi acquistare ciò che l’influencer indossa o mostra. Stessa tecnologia, ma obiettivi diversi: controllo sociale da un lato, consumo dall’altro.»

Ma l’ambizione cinese non si ferma ai confini nazionali. Pechino esporta le sue tecnologie persuasive anche all’estero, in modo spesso sottile ma estremamente efficace. Piattaforme come TikTok – di proprietà della cinese ByteDance – vengono accusate di manipolare i flussi informativi nei mercati occidentali, influenzando l’opinione pubblica su temi geopolitici sensibili. Inoltre, la Cina promuove la diffusione dei propri standard tecnologici e modelli di governance digitale nei paesi in via di sviluppo, proponendo un’alternativa all’approccio democratico occidentale. In questo modo, le tecnologie persuasive diventano strumenti di soft power, capaci di alterare equilibri geopolitici, minare la coesione sociale di altri Stati e indebolire la fiducia nei sistemi democratici.

Le tecnologie persuasive funzionano grazie alla raccolta massiva di dati personali. «Attraverso i dati personali si riesce a capire quali sono le tendenze,» afferma Brozzetti, «ma non si tratta solo di raccogliere e sapere: si tratta, sulla base di quei dati, di spingerti a comportarti in un determinato modo. È qui che la questione si fa più grave: non parliamo più solo di privacy, ma di autonomia».

Ogni clic, ogni scroll, ogni pausa su un video è una fonte di informazione che viene analizzata per comprendere – e anticipare – le nostre reazioni. Questo processo, apparentemente innocuo, porta alla creazione di profili psicologici estremamente dettagliati, spesso senza il nostro esplicito consenso o senza che ne comprendiamo le implicazioni. La nostra attenzione diventa una risorsa da monetizzare, il nostro comportamento un bersaglio da modellare.

In questo scenario, la libertà individuale rischia di trasformarsi in un’illusione. Se tutto ciò che vediamo è già stato filtrato in base a ciò che ci “piace”, quanto spazio rimane per scelte realmente autonome? Quando la tecnologia ci spinge a reagire in un certo modo – acquistare un prodotto, votare un candidato, sostenere un’idea – stiamo ancora agendo liberamente? Le tecnologie persuasive, nella loro forma più estrema, non si limitano a conoscere i nostri desideri: li generano, alterando la nostra capacità di decidere in modo consapevole.

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