Esclusiva

Aprile 23 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 26 2025
“Ottant’anni di Resistenza” il nuovo periodico di Zeta

Lo speciale su Papa Francesco, le storie e i volti della Resistenza e alcune curiosità in giro per il mondo. Questo e molto altro nel nuovo numero di Zeta

Editoriale di Francesco Esposito

“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giusta: le parole sono importanti!” Nanni Moretti, Palombella rossa, 1989

Qualche anno fa, all’incirca cinque, da un momento all’altro divenne molto in voga una parola fino ad allora poco conosciuta: resilienza. Nata a metà del ventesimo secolo dal lavoro dello psicologo americano Jack Block, indica la capacità di affrontare un evento traumatico o un periodo di difficoltà assorbendo l’impatto e adattandosi. Nella lotta al Covid-19 divenne un mantra, e passò dai tatuaggi ai programmi dell’Unione Europea.

Ogni società modella il proprio linguaggio a partire dalle priorità e dalle sfide che deve affrontare. Confrontarsi tutti uniti contro un nemico invisibile, che sfuggiva ai tentativi di controllo umano, non conosceva frontiere e non usava fucili, cannoni o decreti legge, spingeva ad essere, appunto, resilienti: stringere i denti e provare a fare tesoro di questa esperienza così nuova.

Gli anni successivi, però, hanno portato anche il privilegiato Occidente a fare i conti con parole che sembravano morte con il Novecento: imperialismo, colonialismo, autoritarismo, genocidio. Fenomeni umani, che dovrebbero indurre ognuno di noi a guardarsi dentro e chiedersi: «E io? Da che parte sto?». In sostanza, a decidere se porre o meno resistenza. Come ha fatto Papa Francesco fino alla morte dello scorso 21 aprile. Rimasto, negli ultimi anni di vita, sempre più solo, fra i grandi della Terra, a parlare di pace, disarmo, ambientalismo e fratellanza.

Ritornare sull’anno e mezzo di lotta per la Liberazione fra 1943 e 1945 nei boschi degli Appennini e nei vicoli delle città, a cui dedichiamo la parte di questo periodico, è necessario per ri-conoscere quanto quell’esperienza possa essere alla base delle istituzioni in cui ancora oggi viviamo. Ma le esperienze attuali in giro per il mondo ci ricordano che resistere è un processo, che va oltre i momenti di guerra a qualunque intensità e che quei diciannove mesi assumono il loro pieno valore solo se letti alla luce del ventennio precedente, della clandestinità, dell’esilio, del confino.

Non serve un Comitato di Liberazione Nazionale per resistere: lo si fa ogni giorno, con le parole e i gesti quotidiani. Perché, così come il linguaggio e le emozioni, anche la resistenza è una capacità che va allenata.

Leggi anche il numero precedente su confessioni in rete