Esclusiva

Maggio 14 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 16 2025
Eurovision 2025: a Basilea si canta, in Europa si protesta

Tra musica, manifestazioni e identità, la prima e la seconda semifinale dell’Eurovision 2025 restituiscono un ritratto dell’Europa pur non volendolo

Le note risuonano ancor prima che le luci si accendano. È il brusio dell’attesa, delle bandiere che si muovono ad onde lente. C’è chi le alza in alto, chi le lega attorno al collo e le lascia cadere sulle spalle come mantelli. Alla St.Jakobshalle di Basilea, in Svizzera, la 69°edizione dell’Eurovision song contest ha preso il via come un rito moderno e disordinato. Quindici brani, dieci finalisti, una serata che sembrava una playlist curata da un algoritmo sentimentale europeo. C’è chi si affida al pop da club, chi scava della memoria, chi si affaccia alla scena globale con l’orgoglio delle radici nel suo paese. Il risultato è una mappa musicale, frammentata, sincera, talvolta disorientate, ma impossibile da ignorare.

La Svezia ha centrato la qualificazione con Bara bada batsu, del trio KAJ, un brano satirico che mette in musica l’ossessione finlandese per la sauna. Dietro l’umorismo visivo e la messa in scena volutamente assurda, si nasconde una complessa stratificazione culturale: il gruppo proviene dalla regione di Vörå, in Finlandia, dove l’80% della popolazione parla svedese. Un dettaglio che non è sfuggito al giornalista e storico musicale Eddy Anselmi: «Se la Svezia vincesse l’Eurovision con un numero ispirato alla cultura finlandese e presentato da svedesi di Finlandia, o finlandesi svedesofoni, potrebbe essere una lezione importante per tutti di come sia possibile un rapporto moderno e, oserei dire, post-westfaliano, di convivenza di diverse comunità nazionali all’interno dello stesso stato».

L’Estonia ha portato sul palco Espresso macchiato, il tormentone firmato Tommy Cash. Spoken word, citazioni ad Andy Warhol, ritmi sincopati, cambi di registro comici e dinamiche teatrali. Un impasto sonoro che sembra uscito da un’opera lirica impazzita, ma remixata in chiave elettronica.

Zjerm dell’Albania, tra tappeti sonori industriali e voci distorte, è un’elettronica balcanica che riecheggia i club e le danze tradizionali. È una delle proposte più solide della serata, complice l’ottima resa vocale di Beatriçe Gjergji e Kolë Laca. Un’altra qualificata degna di nota è l’Ucraina con Bird of Pray dagli Ziferblat. È come ascoltare un Paese in apnea. Il brano non ha un centro tonale fisso, non concede melodie rassicuranti. È dissonante, incerto: è la guerra in musica.

Bur man laimi della Lettonia, tra incantesimi e armonie vocali, è un rituale sonoro che risveglia le radici baltiche. Le Tautumeitas riportano il lettone in gara dopo vent’anni, intrecciando tradizione ed elettronica in un brano che evoca i canti tradizionali eseguiti nei matrimoni lettoni.

Tra i qualificati c’è anche la Grecia, con Asteromata. Ballata elettronica in greco, è  ispirata alle storie dei rifugiati del Ponto. La TV turca prima della manifestazione ha chiesto una revisione per presunti riferimenti storici. L’artista ha smentito l’accusa in diverse interviste: “Non parlo di un evento preciso”.

Durante la seconda semifinale, l’esibizione di Yuval Raphael per l’Israele è stata accolta da fischi da parte del pubblico. Nei primi venti secondi del brano, i segnali di disapprovazione sono risultati chiaramente udibili, prima che venissero parzialmente coperti da un sistema di attenuazione sonora applicato alla diretta. Nel corso dell’esibizione, una persona tra il pubblico ha sollevato una bandiera palestinese.

Fuori dall’arena c’è un’altra Europa che non applaude. Durante il Turquoise Carpet, gruppi di manifestanti pro-Palestina hanno sventolato bandiere, mostrato cartelli con scritte come Ceasefire now e Free Palestine, chiedendo l’esclusione di Israele dal concorso. Oltre 70 ex partecipanti all’Eurovision hanno firmato una lettera aperta per chiedere l’esclusione dell’emittente israeliana KAN, accusata di usare la competizione per migliorare l’immagine internazionale del proprio Paese. L’EBU, l’ente organizzatore, ha risposto confermando la partecipazione di Israele e riaffermando la natura “apolitica” del concorso.

Dentro la bolla luminosa di Basilea si canta e si balla. Fuori, si protesta. Nel mezzo, l’Eurovision si conferma per quello che è: un palcoscenico musicale, ma anche un termometro culturale. I brani in gara non cambieranno il mondo, ma saranno una finestra sull’Europa.