Quasi ottant’anni di tensioni, attentati, quattro conflitti aperti, migrazioni forzate e una lunga serie di violenze che ha segnato intere generazioni. Il Kashmir, regione contesa tra India e Pakistan, è una ferita ancora aperta per i due nemici di sempre.
L’ultima escalation militare è iniziata il 7 maggio, quando l’esercito indiano ha lanciato l’operazione Sindoor in risposta all’attentato del 22 aprile nella città di Pahalgam, in cui un gruppo terroristico ritenuto vicino al Pakistan ha ucciso ventisei turisti.
La risposta di New Delhi è stata la più dura da anni. Una serie di attacchi aerei e missilistici hanno colpito campi di addestramento e basi militari in Kashmir e in territorio pakistano. Islamabad ha reagito colpendo a sua volta alcune basi nemiche e abbattendo diversi jet e droni indiani. Entrambe le parti hanno riportato decine di vittime, tra militari e civili.
Il 10 maggio, anche grazie alla mediazione degli Stati Uniti, le due parti hanno trovato un accordo per il cessate il fuoco e la ferita aperta del Kashmir ha smesso di sanguinare, almeno per il momento. La tregua appare però molto fragile e interrompe solo l’ultimo di una lunga serie di scontri armati che in questa regione sono una costante dal 1947, quando la regione a maggioranza musulmana fu unita all’India.
«Il migliore scenario è un mantenimento dello status quo e una graduale ripresa del dialogo su altre questioni», spiega Diego Maiorano, docente di Storia Contemporanea dell’India all’Università di Napoli L’Orientale. «Ci sono stati molti periodi di distensione tra India e Pakistan nei quali si è incentivato il commercio e il movimento delle persone, ma in questo momento siamo lontanissimi anche da una ripresa dei normali rapporti di conflittualità congelata».
Il presidente americano Donald Trump, annunciando l’accordo raggiunto, ha parlato di un ruolo fondamentale degli Stati Uniti nella trattativa e ha dichiarato che la tregua sarà permanente. Guardando ai precedenti storici e alla situazione attuale, tuttavia, gli analisti rimangono scettici sulla possibilità di una soluzione duratura.
«Il Kashmir rappresenta una parte fondamentale dell’identità nazionale di entrambi i Paesi – continua Maiorano – ma allo stato attuale è una questione irrisolvibile, perché nessuno ha la forza politica di presentare alla propria opinione pubblica una cessione del territorio e dall’altro lato è anche impensabile che uno dei due riesca a conquistare la regione manu militari».
Un altro indicatore del prolungamento del conflitto è la scarsa disponibilità a rispettare alcuni accordi storici che impediscono la guerra. Tra questi il trattato delle acque dell’Indo, che regola la distribuzione del flusso del sistema idrico nei due Paesi e che ora è impugnato da New Delhi come strumento di pressione.
Anche Carlo Pizzati, giornalista e scrittore esperto di India, si dice pessimista sul cessate il fuoco: «La sospensione del trattato sul fiume Indo non è ancora stata revocata dal governo indiano e il Pakistan lo considera un atto di guerra. Questa tregua è stata raggiunta perché si è arrivati vicini alla soglia nucleare dell’escalation, ma le ragioni per essere preoccupati rimangono».
In questo contesto, un elemento da non sottovalutare è il sentimento popolare, che riflette anni di stragi impresse nella memoria collettiva. «La stragrande maggioranza della popolazione in entrambi i Paesi vuole umiliare il nemico – prosegue Pizzati – bisogna ricordare i trascorsi di questi decenni, le guerre che ci sono state negli anni Sessanta, Settanta e Novanta, i continui attacchi terroristici e le risposte dell’India. Tutto questo causa una mentalità di faida».
Secondo Pizzati, il prolungamento della disputa per il Kashmir fa comodo alla leadership politica nazionalista di entrambe le parti: «In Pakistan i vertici militari ora sono visti come la salvezza per la nazione e hanno riguadagnato popolarità. Allo stesso modo in India molti critici del governo sono costretti a manifestare un sostegno che in altri tempi non mostrerebbero. Un nemico vicino a casa non è solo pericoloso ma anche utile».
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