Esclusiva

Maggio 27 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 28 2025
«L’Anniversario», il dolore silenzioso di una famiglia spezzata

Andrea Bajani esplora le ferite lasciate da un padre padrone e il difficile cammino verso la guarigione e la libertà personale

“Fate rumore” aveva detto Elena Cecchettin, durante una manifestazione in ricordo della sorella Giulia, uccisa dal fidanzato poche settimane prima. Era la fine del novembre 2023 e a rispondere al suo appello sono state migliaia di persone, scese in piazza con in mano un mazzo di chiavi da far tintinnare e negli occhi la determinazione di voler cambiare le cose. Per la prima volta in Italia il patriarcato è stato messo sotto accusa. Per la prima volta la violenza maschile è stata riconosciuta come uno strumento abituale per soffocare la libertà delle donne e delle minoranze di genere.

Tuttavia, la scia di sangue lasciata dai femminicidi nella storia recente del nostro Paese è solo la conseguenza più evidente di un sistema, mentale e legale, che ha fatto molte più vittime di quelle finite sui giornali. Donne che non hanno saputo o potuto ribellarsi, costrette a sopravvivere tra l’indifferenza e il silenzio della società. Ed è una di queste storie che Andrea Bajani racconta nel suo ultimo libro, L’Anniversario (Feltrinelli, 2025), rientrato nella dozzina dei romanzi semifinalisti candidati al Premio Strega 2025.  

Nel tentativo di fare i conti con il proprio passato, un uomo di circa cinquant’anni decide di mettere a fuoco la figura di sua madre. Di lei ricorda poco perché in casa aveva sempre dettato legge un padre padrone, al centro di una scena familiare che vedeva la moglie relegata sullo sfondo, al ruolo di mero prolungamento di sé.  

Ma lo sforzo sovrumano che il protagonista compie per restituire alla madre un’identità, lo aiuta a rompere quel filtro fatto di maschilismo, indifferenza e viltà con cui l’aveva sempre data per scontata. Cominciano così a riaffiorare ricordi, suoi o di altre persone, istantanee ed emozioni, che si incastrano come pezzi di un puzzle a formare la storia, breve e incompleta, di una persona fragile, remissiva, che non ha saputo fuggire lontano da un marito violento ed egoista.

Strappata alla vita universitaria da due gravidanze ravvicinate e costretta a lasciare Roma per un paesino piemontese al confine con la Francia, la donna comincia una vita solitaria, confinata in una casa che diventa ben presto una prigione. Lontana dalla famiglia, cade sotto il pieno controllo di un uomo che le impedisce di trovare un lavoro, la isola dalle poche amiche che ha, la controlla anche a distanza attraverso il telefono fisso – i cellulari ancora non esistevano – e la sminuisce di continuo, costringendola al ruolo di comparsa anche nella vita dei suoi due figli.

O almeno del protagonista che, al contrario della sorella, non contraddice o critica mai il padre. Neanche quando, in un accesso di rabbia, alza le mani sulla madre e distrugge i mobili di casa, costringendo i vicini a chiamare i carabinieri. Un atteggiamento codardo, frutto di un miscuglio di mentalità patriarcale e istinto di sopravvivenza, che lascia cicatrici così profonde da spingerlo, ad un certo punto, a tagliare i ponti con i suoi, cambiando numero di telefono, città, continente. 

Fuggire, però, non serve a nulla se i demoni che combattiamo sono dentro di noi. Così, a distanza di dieci anni, l’uomo torna con la mente a quella vita familiare disgraziata, per affrontare il proprio senso di colpa e ridare dignità ad una donna su cui aveva sempre pensato non ci fosse nulla da dire. Ne viene fuori un racconto scomodo, quello di una persona che ha rinunciato alla vita senza lottare, in un’Italia ipocrita e perbenista. Eppure, proprio per questo è necessario. Per non dimenticare cosa è stato il patriarcato e quanta infelicità ha procurato. Sia nei carnefici che nelle vittime. 

Leggi anche Alle radici del sentimento, i versi di Michele Urrasio