Esclusiva

Giugno 16 2025
Tutti i colori del silenzio, la vita come un gioco

Le preoccupazioni per il futuro dei genitori e le difficoltà degli eterni bambini taciturni diventano storie di avventura

C’erano una volta Lupo Giovacchino, a cui non andava tanto di cacciare, e Pavone Gedeone, che non amava essere guardato. Gatti verdi, spade danzerine. Tommaso non parla, ma con papà Gianluca non serve. Dal 1998, la vita attraverso i suoi occhi è colorata, ballerina, stravagante, bella. Tommy è un artista neurodivergente che con pennelli e tempere dà forma a ciò che vede. Dal 2019 produce quadri e disegni, fonte di ispirazione per il padre, Gianluca Nicoletti, che li unisce attraverso un filo invisibile per creare storie di fantasia. Il libro “Nel paese dove i maiali volano, i lupi galleggiano” è nato così, ma non è solo un insieme di racconti inventati. È una risorsa per fare luce sull’autismo, per capire quel compagno di classe che si comporta in modo “strano” e fa qualche capriccio, un mezzo per entrare in una mente un po’ ribelle, unica.

«Non immaginate come vorrei avere, anche solo per un attimo, il punto di vista “eccentrico” di Tommy. Capirei molto di più di lui e, forse, capirei molto di più pure della realtà che vedo con il banalissimo e stantio sguardo condiviso dal resto dell’umanità», racconta Nicoletti nel suo testo Alla fine qualcosa ci inventeremo.

In fin dei conti, il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) è «una delle infinite possibilità che abbiamo di misurare il mondo, un punto di vista individuale». È un labirinto in cui le parole a volte si perdono e le convinzioni si dissolvono, una ricchezza da comprendere, non un ostacolo invalicabile.

Di limiti ce ne sono, tanti quante sono le preoccupazioni di un padre. Ogni genitore ha timori e angosce che riguardano la vita e il futuro dei propri figli, ma non tutti a fine giornata si chiedono «che farà quando io non ci sarò più?». Il principale tormento di cui parla Gianluca Nicoletti è di non poter essere eterno per prendersi cura di Tommy fin quando ne avrà bisogno: per sempre. Per questo, pensare agli autistici come a dei perenni bambini facilita l’arduo compito di dover affrontare la loro maturità. Nomignoli e coccole aiutano a non pensare, almeno per un po’, che anche da adulti «i padri allacciano loro le scarpe, se non sono riusciti a trovare quelle col velcro che li rendono autonomi».

Chiunque abbia in famiglia un neurodivergente ha la cupa consapevolezza che prima o poi, per il forzato corso della vita, non potrà più prendersi cura di lui e dovrà confinarlo in un centro con degli esperti che mai sapranno rassicurare come gli abbracci di mamma e papà durante una delle tante crisi. Così, si cerca sempre di proteggerli, di fare loro da schermo contro la verità che incombe con il passare dei giorni: «Mi basta che sia felice e sapere che non capiterà mai che qualcuno attenti alla sua felicità quando io non ci sarò più per difenderlo».

La quotidianità di Tommy e Gianluca è la stessa di tante altre persone. Secondo il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), un bambino su 77 nella fascia d’età tra 7 e 9 anni presenta un disturbo dello spettro autistico di vario livello e le diagnosi sono in aumento. Le problematiche si espandono per l’accesso nel mercato del lavoro. Le persone con disabilità psichiche affrontano sfide non indifferenti anche in questo campo. I dati generali ISTAT sull’impiego di persone con disabilità in età lavorativa (15-64) in Italia risalgono al 2023 e sono inferiori rispetto alla media europea. Le difficoltà riguardano spesso la mancanza di una preparazione precisa all’interno delle aziende, la persistenza di pregiudizi e la scarsa valorizzazione delle competenze individuali. I neurodivergenti incontrano maggiori ostacoli legati alla specificità dei supporti di cui necessitano e alla poca flessibilità dei contesti aziendali. L’obiettivo di una piena occupazione inclusiva è lontano, ma i progetti di inserimento non mancano. Tra questi, la Fondazione Cervelli Ribelli, di cui Nicoletti è presidente, ha creato un HubLab a Roma in cui Tommy ha prodotto le sue opere d’arte e vengono svolte attività laboratoriali con lo scopo di dare inclusività sociale e lavorativa a persone fragili.

Non tutti, però, hanno la fortuna di potere almeno sperare che i propri “eterni fanciulli” riescano a trovare un posto di lavoro. Alcuni livelli di DSA sono così avanzati da non avere aspettative superiori a traguardi giornalieri che, per le persone normodotate e autosufficienti, sono basilari. È il caso di Vincenzo, papà di Andrea, un bambinone di 28 anni che non parla, almeno non più. «Me lo ricordo ancora il suono della sua voce quando cantava Nella vecchia fattoria o quando urlava “papà” appena mi vedeva fuori dalla finestra».

Nel suo caso, l’autismo si è aggiunto alla sindrome di Down, diagnosticata prima della nascita. Ogni giorno è fatto di rituali ripetuti e accudimenti costanti. Vincenzo ha gli occhi stanchi di chi sa che il tempo corre, e corre contro. Nel silenzio di Andrea, fanno eco le inquietudini del padre: «Non c’è nessuno che lo può invitare ad uscire, come invece è normale per tutti i ragazzi, nessun amico. Non ha mai dato il primo bacio ed è probabile che non lo darà mai».

Mentre l’età avanza, i figli diventano bastone di vecchiaia. Per Andrea è il contrario, perché i genitori hanno lo stesso ruolo di quando aveva 3 anni. I suoi due fratelli hanno «pagato il prezzo» di tutte le attenzioni che mamma e papà hanno dovuto riservare, spesso, solo a lui: «Hanno sofferto per questo. Forse mi danno la colpa di non essere stato un buon padre e, magari, sotto quell’aspetto non lo sono stato». Ci sono dei momenti che restano dentro le mura di una casa per sempre, e per quanto gli amici più stretti possano tentare di far sentire la loro vicinanza, solo i membri della famiglia sanno cosa si è vissuto. «Alcune serate erano drammatiche, un disastro. A volte ci guardavamo negli occhi senza sapere più come gestire le sue crisi. Ci si sente soli, un nucleo a parte».

La storia di Gianluca è diversa da quella di Vincenzo. Tommy è un omone, come Andrea, ma in fondo entrambi sono ancora dei bambini. Come scrive Nicoletti, arriverà un giorno in cui papà e mamma non potranno più proteggerli, «quel giorno, saranno esposti alle intemperie dell’indifferenza umana come la maggior parte dei loro colleghi poco loquaci».

Dopo le loro storie, però, gli umani indifferenti avranno almeno imparato che un lupo può anche non aver voglia di cacciare, e se si nasce pavone non si ha per forza voglia di sentirsi dire «come sei bello».