Esclusiva

Giugno 23 2025.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 25 2025
L’anima del violino narrata da chi lo costruisce

Il liutaio Matteo Lo Presti racconta come, da legni segnati dal tempo, nascano strumenti unici capaci di trasformare la sofferenza in bellezza

«Quel giorno, avevo appena vent’anni, scoprii Venezia per la prima volta. E scoprendola mi sentii in possesso di due cose pure e belle: un violino e un cuore. Non sapevo che stavo per fare a pezzi l’uno e l’altro. Per sempre», scrive Maxence Fermine nel libro La trilogia dei colori, pubblicato da Bompiani nel 2003.

L’autore unisce musica e amore, come se fossero due metà che si completano ed esistono solo grazie alla vicinanza dell’altra. In effetti è così. Il violino è uno dei pochi strumenti a possedere un’anima. È un piccolo cilindro di legno, posizionato verticalmente all’interno della cassa armonica, tra la tavola e il fondo, e ha un ruolo cruciale nella trasmissione delle vibrazioni e del suono. Il suo nome non è casuale: la parola “ànemos” in greco vuol dire “soffio, vento” e descrive la vita e lo spirito di un essere vivente. Ciò che muove le nostre passioni più ardenti.

La prima fase nella costruzione di un violino è la scelta del legno da utilizzare: «La decisione è condizionata da estetica, peso e consistenza tattile e ricade sempre tra acero, abete ed ebano. Compro il materiale in un’altra zona, quindi è spesso soggetto al cambiamento climatico, e lo porto in liuteria per vedere come si comporta. Bisogna aspettare un mese o due per capire come si assesta. Dopo si comincia a piallare. Si incollano due pezzi dello stesso albero, tagliati a spicchio e incollati a specchio per un effetto particolare. Infine, si comincia a scavare con sgorbie e scalpelli», dice Matteo Lo Presti, un giovane liutaio che ha imparato il mestiere prima in Camerun e poi in Italia, in una scuola apposita a Parma. In seguito, ha deciso di mettersi in proprio aprendo una bottega a Marino Laziale un anno fa.

Prima si scava la parte esterna, quella bombata, poi si gira lo strumento sull’altro lato e si procede con l’interno, creando livelli di diversa altezza. Ogni tavola ha almeno una sessantina di spessori: «Proseguo piegando le fasce, i laterali, che provengono dallo stesso tronco e devono essere compatibili esteticamente con il fondo. Si piegano a caldo, inumidite. Gli ultimi step sono scolpire la testa, la voluta, scavare le “f” e tendere le quattro corde sul corpo».

Per realizzare un violino, Lo Presti impiega uno o due mesi e tutti gli elementi che modella e assembla influiscono sul suono: «Ogni dettaglio è fondamentale. Anche gli zocchetti, piccoli pezzi che uniscono le fasce, sono indispensabili. Persino il peso e la leggerezza. Ogni strumento suona in modo diverso, perché ogni tronco è diverso», spiega.

Ma è possibile prevedere il risultato acustico prima della conclusione del lavoro? «In linea di massima, direi di no. Si può lavorare su timbro e colore dell’armonia, indirizzandola verso tonalità più scure o più chiare. Ma dipende molto dall’archetto e dal violinista stesso».

L’incontro con il musicista è un passaggio importante del processo: «Quando finisco lo strumento, invito il violinista per provarlo. Se qualcosa non va, provo a correggere. Si può aprire, regolare, migliorare in base al feedback che ricevo. Io vendo molto all’estero. È una grande soddisfazione vedere che i miei prodotti viaggiano nel mondo. Una ragazza coreana di quattordici anni ha acquistato un mio violoncello che in Italia era stato criticato. Nel suo Paese ha avuto grande successo e ci ha vinto addirittura concorsi in Australia».

Anche la salute dell’albero è importante per il risultato finale. Ad esempio, le venature – linee naturali che appaiono come striature verticali – non rappresentano una sofferenza del legno. Al contrario, le marezzature nascono quando le fibre deviano dal loro percorso regolare, assumendo forme curve, ondulate o contorte e indicano una situazione di pericolo per l’arbusto. Di solito accade quando il fusto si trova in un ambiente rigido, poco adatto alla sua crescita, a causa del quale inizia a schiacciarsi su se stesso, creando questi riflessi orizzontali. «In poche parole, più il legno soffre, più è bello a livello estetico!», aggiunge il liutaio.

D’altronde si sa, le poesie più famose sono quelle dedicate agli amori impossibili e le canzoni più emozionanti sono state scritte con il cuore spezzato. La musica classica non sfugge a questo meccanismo. Anzi, ne è l’emblema più potente. Il modo attraverso cui l’essere umano trasforma il dolore in crescita personale, dando vita a melodie struggenti in grado di curare la propria anima.