«Quel giorno, avevo appena vent’anni, scoprii Venezia per la prima volta. E scoprendola mi sentii in possesso di due cose pure e belle: un violino e un cuore. Non sapevo che stavo per fare a pezzi l’uno e l’altro. Per sempre», scrive Maxence Fermine nel libro La trilogia dei colori, pubblicato da Bompiani nel 2003.
L’autore unisce musica e amore, come se fossero due metà che si completano ed esistono solo grazie alla vicinanza dell’altra. In effetti è così. Il violino è uno dei pochi strumenti a possedere un’anima. È un piccolo cilindro di legno, posizionato verticalmente all’interno della cassa armonica, tra la tavola e il fondo, e ha un ruolo cruciale nella trasmissione delle vibrazioni e del suono. Il suo nome non è casuale: la parola “ànemos” in greco vuol dire “soffio, vento” e descrive la vita e lo spirito di un essere vivente. Ciò che muove le nostre passioni più ardenti.
La prima fase nella costruzione di un violino è la scelta del legno da utilizzare: «La decisione è condizionata da estetica, peso e consistenza tattile e ricade sempre tra acero, abete ed ebano. Compro il materiale in un’altra zona, quindi è spesso soggetto al cambiamento climatico, e lo porto in liuteria per vedere come si comporta. Bisogna aspettare un mese o due per capire come si assesta. Dopo si comincia a piallare. Si incollano due pezzi dello stesso albero, tagliati a spicchio e incollati a specchio per un effetto particolare. Infine, si comincia a scavare con sgorbie e scalpelli», dice Matteo Lo Presti, un giovane liutaio che ha imparato il mestiere prima in Camerun e poi in Italia, in una scuola apposita a Parma. In seguito, ha deciso di mettersi in proprio aprendo una bottega a Marino Laziale un anno fa.
Prima si scava la parte esterna, quella bombata, poi si gira lo strumento sull’altro lato e si procede con l’interno, creando livelli di diversa altezza. Ogni tavola ha almeno una sessantina di spessori: «Proseguo piegando le fasce, i laterali, che provengono dallo stesso tronco e devono essere compatibili esteticamente con il fondo. Si piegano a caldo, inumidite. Gli ultimi step sono scolpire la testa, la voluta, scavare le “f” e tendere le quattro corde sul corpo».
Per realizzare un violino, Lo Presti impiega uno o due mesi e tutti gli elementi che modella e assembla influiscono sul suono: «Ogni dettaglio è fondamentale. Anche gli zocchetti, piccoli pezzi che uniscono le fasce, sono indispensabili. Persino il peso e la leggerezza. Ogni strumento suona in modo diverso, perché ogni tronco è diverso», spiega.
Ma è possibile prevedere il risultato acustico prima della conclusione del lavoro? «In linea di massima, direi di no. Si può lavorare su timbro e colore dell’armonia, indirizzandola verso tonalità più scure o più chiare. Ma dipende molto dall’archetto e dal violinista stesso».
L’incontro con il musicista è un passaggio importante del processo: «Quando finisco lo strumento, invito il violinista per provarlo. Se qualcosa non va, provo a correggere. Si può aprire, regolare, migliorare in base al feedback che ricevo. Io vendo molto all’estero. È una grande soddisfazione vedere che i miei prodotti viaggiano nel mondo. Una ragazza coreana di quattordici anni ha acquistato un mio violoncello che in Italia era stato criticato. Nel suo Paese ha avuto grande successo e ci ha vinto addirittura concorsi in Australia».
Anche la salute dell’albero è importante per il risultato finale. Ad esempio, le venature – linee naturali che appaiono come striature verticali – non rappresentano una sofferenza del legno. Al contrario, le marezzature nascono quando le fibre deviano dal loro percorso regolare, assumendo forme curve, ondulate o contorte e indicano una situazione di pericolo per l’arbusto. Di solito accade quando il fusto si trova in un ambiente rigido, poco adatto alla sua crescita, a causa del quale inizia a schiacciarsi su se stesso, creando questi riflessi orizzontali. «In poche parole, più il legno soffre, più è bello a livello estetico!», aggiunge il liutaio.
D’altronde si sa, le poesie più famose sono quelle dedicate agli amori impossibili e le canzoni più emozionanti sono state scritte con il cuore spezzato. La musica classica non sfugge a questo meccanismo. Anzi, ne è l’emblema più potente. Il modo attraverso cui l’essere umano trasforma il dolore in crescita personale, dando vita a melodie struggenti in grado di curare la propria anima.