Esclusiva

Giugno 24 2025
Non è una scuola per vecchi

L’intelligenza artificiale ha rivoluzionato il modo in cui gli studenti apprendono e la scuola si trova davanti delle sfide che non può ignorare

Nel Fedro di Platone, Socrate racconta l’incontro tra il dio egizio Theuth e il faraone Thamus. Secondo il mito, il dio si recò dal sovrano per mostrargli le arti da lui ideate, tra cui la scrittura, un’invenzione straordinaria che avrebbe reso gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare. Dopo aver ascoltato l’elenco delle virtù di questa nuova conoscenza, il re rispose: «Questa scoperta, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà nell’anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di dentro e da se stessi».

Platone non poteva sapere che, oltre duemila anni più tardi, una nuova tecnologia rivoluzionaria quanto la scrittura avrebbe suscitato paure simili a quelle del mitico faraone Thamus. L’intelligenza artificiale, infatti, ha stravolto il modo in cui apprendiamo, creiamo e distribuiamo le informazioni, aprendo nuove possibilità e nuove incognite. Tra queste, il timore che un affidamento eccessivo sugli strumenti IA conduca a un impoverimento delle nostre capacità cognitive, come creduto da Socrate a proposito della parola scritta.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Societies sembra dare ragione al filosofo greco, mostrando che l’utilizzo dell’IA può ridurre le nostre abilità di pensiero critico. Secondo la ricerca, questa involuzione avviene attraverso il cognitive offloading, un processo in cui le nostre capacità mentali vengono trasferite su supporti esterni. Il problema è che alla lunga questa tendenza potrebbe intaccare le capacità di ragionare in modo autonomo.

Questo rischio riguarda soprattutto i giovani, che usano di più l’intelligenza artificiale e hanno punteggi inferiori nei test di pensiero critico. «Io uso molto l’intelligenza artificiale, soprattutto ChatGPT», racconta Tommaso, studente del liceo scientifico Alessandro Volta di Milano. «Mi aiuta a riorganizzare gli appunti e a capire meglio gli esercizi delle materie scientifiche. A volte l’ho utilizzata anche per i compiti di italiano, quando bisogna scrivere un testo a casa».

In questo contesto, il mondo dell’istruzione deve affrontare un problema mai visto prima: ogni studente ha a disposizione uno strumento in grado di rispondere a qualsiasi domanda e risolvere problemi complessi. Un’opportunità incredibile che allo stesso tempo rischia di essere ridotta a una mera scorciatoia per i compiti.

«Usare l’IA mi ha aiutato ma mi ha anche impigrito – continua Tommaso – sento di stare perdendo qualcosa, non credo che aiuti nel lungo termine». Per evitare i rischi maggiori è necessario conoscere i limiti dei modelli generativi, integrando e verificando gli output con spirito critico. Purtroppo però, racconta Tommaso, molte volte questo non avviene: «Penso che ci sia una fiducia spropositata in questi strumenti, io stesso mi affido quasi ciecamente e spesso prendo per buono il primo risultato senza controllare tutto».

Il pericolo è evidente: da un lato, l’accessibilità e la velocità dell’IA possono minare alcune competenze fondamentali per lo sviluppo, dall’altro rischiano di generare errori che alimentano un circolo vizioso. «Secondo me la soluzione è sdoganare l’intelligenza artificiale anche a scuola e non trattarla come un tabù. Bisognerebbe insegnare come usarla nel modo corretto perché può essere uno strumento molto potente anche nell’apprendimento», conclude Tommaso.

D’accordo con questa linea di pensiero anche Lorenzo Redaelli, docente, formatore e autore esperto di intelligenza artificiale applicata alla didattica, che evidenzia i limiti di un sistema scolastico insensibile ai cambiamenti della società. «Se continuiamo a pensare alla scuola come a un luogo in cui si va per ascoltare una lezione e poi svolgere dei compiti a casa, allora l’IA non può che essere distruttiva», spiega Redaelli.

«Per prima cosa dovremmo eliminare i compiti a casa per come sono sempre stati assegnati – continua l’esperto – da solo lo studente dovrebbe fare attività di approfondimento, ma la parte pratica va fatta in classe con un insegnante a supervisionare». Secondo il docente, inoltre, una scuola incentrata sul nozionismo non tiene conto dei diversi stili cognitivi e privilegia un solo tipo di intelligenza, tagliando fuori diverse competenze rilevanti come il problem solving o la capacità di lavorare in gruppo.

Redaelli insiste anche sull’importanza della formazione scolastica come preparazione alla vita: «L’intelligenza artificiale ormai fa parte delle nostre società, quindi perché dovremmo lasciarla fuori dalle aule? La scuola è parte del mondo e deve allenare lo studente a saper navigare questo mondo, è qui che dobbiamo insegnare i pericoli, le opportunità e l’uso corretto della tecnologia».

Nel suo ultimo libro, La classe potenzIAta, Redaelli propone nuove modalità di insegnamento per adattare la scuola all’era dell’intelligenza artificiale. «Io suggerisco di trasformare le lezioni in laboratori, puntando molto sul lavoro di gruppo e sulla personalizzazione dell’apprendimento», racconta l’autore. «Nelle mie classi, ad esempio, abbiamo fatto esperimenti con l’IA come tutor di scrittura creativa o esercizi in cui il compito degli studenti era controllare le risposte di un chatbot».

Insomma, il mondo evolve a una velocità mai vista prima e un disperato tentativo di resistere rischia di essere inutile o persino dannoso. Piuttosto, se temiamo per le capacità dei giovani, forse dovremmo accogliere e regolare l’innovazione ripensando la scuola, con buona pace di Platone e del faraone Thamus.