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Esclusiva

Marzo 17 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 14 2020
Coronavirus e Iliade. Gli infiniti lutti degli Achei

Il tema dell’epidemia è ricorrente nella letteratura. Anche Omero, nell’Iliade, narra di un potente e invisibile male che mise in ginocchio i Greci

Il mondo intorno a noi sta cambiando, da qualche giorno a questa parte lo ha già fatto. Molte delle attività che consideravamo scontate, naturali, di fatto non lo sono più. Sono in pausa. Le lunghe cene con gli amici, i concerti, gli aperitivi. Ce ne rimangono però altre, e non meno degne. Ci sono i libri, che in tempi come questi offrono oltre che sollievo, anche una possibilità di evasione. Ci si immerge, lettera dopo lettera, frase dopo frase, e pian piano da una pagina in bianco e nero possiamo perderci in boschi, praterie, piazze e città esotiche dove non siamo mai stati prima. Una volta ancora, in soccorso nei momenti di difficoltà viene la cultura. #letteraturedaquarantena


L’Iliade, uno dei due grandi poemi attribuiti al poeta Omero, narra la guerra tra Greci, guidati dal sovrano di Micene Agamennone, e la città di Troia. Il conflitto nasce per vendicare il rapimento di Elena, moglie del re di Sparta Menelao, per mano del troiano Paride. All’inizio dell’opera compare una malattia invisibile e aggressiva, in grado di decimare il forte esercito greco in soli nove giorni.

Come il poeta e drammaturgo Vincenzo Monti tradusse:

«Piantossi delle navi al cospetto: indi uno strale
Liberò dalla corda, ed un ronzío
Terribile mandò l’arco d’argento.
Prima i giumenti e i presti veltri assalse,
Poi le schiere a ferir prese, vibrando
Le mortifere punte; onde per tutto
Degli esanimi corpi ardean le pire »

Crise, sacerdote di Apollo, venne oltraggiato e cacciato da Agamennone per aver chiesto il riscatto della figlia Criseide. Fu così che supplicò Apollo di vendicarlo. Il Dio lo ascoltò e, scoccando frecce dalla sua faretra, provocò una pestilenza nel campo greco.
Al decimo giorno Achille convocò un’assemblea fra i capi. Fu l’indovino Calcante a rivelare come l’epidemia fosse stata mandata da Febo, adirato per il trattamento riservato al suo sacerdote. L’unico modo di interromperla era restituire Criseide al padre. Agamennone, vedendo sminuito il suo potere, restituì la ragazza. Ma pur di ostentare la sua supremazia, sottrasse ad Achille la schiava e concubina Briseide. L’intervento di Atena dissuase da gesti avventati il Pelìde, che come protesta si ritirò dalla guerra. Intanto la missione riparatoria di Ulisse presso Crise diede i risultati sperati. Il vecchio sacerdote accolse il ritorno della figlia e chiese ad Apollo la fine della strage.

Etica guerriera, rispetto, prestigio. Questi i cardini su cui si basava la società aristocratica dell’Iliade. Gli eroi venivano giudicati tali dalle altre persone, il loro pensiero e le loro azioni proiettati verso l’esterno. Un comportamento era definito errato se incontrava la disapprovazione della comunità, non se in antitesi con la propria morale. Secondo il grecista Giulio Guidorizzi, fu l’antropologo Eric Dodds a coniare per l’epica omerica il termine “cultura della vergogna”. Era ciò che spingeva gli uomini a portare al limite le proprie azioni: pur di raggiungere la pubblica stima, si rischiava di superare un confine invisibile ma decisivo.

Infatti, presso gli antichi Greci, la hýbris (ὕβϱις) definiva la tracotanza dell’uomo rispetto al volere divino, seguita dalla punizione per mano degli stessi Dei (tísis). Talmente radicata, da diventare tra i più importanti temi della letteratura ellenica. Era in potere dell’eroe greco evitarla, se capace di arrestarsi al limite. La pestilenza nel campo degli Achei, narrata nell’Iliade, ne è un esempio. La malattia non è un’entità patologica con specifiche caratteristiche, è svincolata dal contagio. Non c’è via di trasmissione, né incubazione. È sinonimo di punizione: i guerrieri che muoiono presso le mura di Ilio subiscono l’ineluttabile conseguenza di un atteggiamento orgoglioso nei confronti del Dio, che ha il potere di far cessare l’epidemia secondo la propria volontà.