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Esclusiva

Marzo 28 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 25 2020
Eurobond, un’altra crepa nell’integrazione europea

Il Consiglio europeo divide i Paesi. L’Eurogruppo ha due settimane per trovare una risposta comune al Coronavirus. Intanto il consenso dei partiti sovranisti potrebbe aumentare

Nord contro Sud, Sud contro Nord. In gioco, il futuro dell’Unione europea (Ue). Giovedì 26 marzo i capi di Stato e di governo dei ventisette Paesi membri hanno svolto in videoconferenza la riunione del Consiglio europeo. Obiettivo, trovare una risposta comune alla pandemia di coronavirus Sars-Cov-2. Dopo sei ore di negoziati, l’accordo sul fatto che non si è d’accordo. La palla viene rimandata all’Eurogruppo, il consesso dei ministri delle Finanze Ue, che ha due settimane di tempo per formulare nuove proposte. Idee che saranno poi discusse dai capi di Stato e di governo. 

La riunione ha riaperto antiche fratture. Vale a dire, Italia, Francia, Belgio, Spagna, Lussemburgo, Slovenia, Portogallo, Grecia, Irlanda contro Germania, Olanda, Finlandia, Austria e Danimarca. I primi chiedono il varo degli Eurobond, ossia di emissioni di obbligazioni comuni, e l’utilizzo del Mes (Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva-Stati) senza condizionalità; i secondi non vogliono sentir parlare di debito pubblico comune e subordinano a vincoli stringenti l’accesso agli organismi di sostegno esistenti, come il Fondo guidato da Klaus Regling. Risultato, l’intesa raggiunta non menziona né Eurobond né Mes.

Eurobond
Giuseppe Conte e Angela Merkel. Photo Credits: ANSA

«Siamo pronti a fare tutto quel che serve», ha commentato il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel durante la conferenza stampa insieme a Ursula von der Leyen, numero uno della Commissione Ue. Meno soddisfatto il Presidente dell’Europarlamento David Sassoli: «Ci saremmo aspettati una più forte assunzione di responsabilità dai leader. Ora abbiamo due settimane di tempo per lavorare, sperando che si sciolgano le riserve e vengano date risposte». 

Durante la videoconferenza non sono mancate le polemiche. Dopo due ore sole di discussione, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, supportato dal premier spagnolo Pedro Sánchez, aveva rifiutato la bozza di conclusioni proposta da Michel, giudicandola «insufficiente»: «Non ci servono gli strumenti del passato, non disturbatevi», aveva precisato. Poi, la richiesta ai presidenti di Commissione, Consiglio, Banca centrale (Bce), Parlamento ed Eurogruppo di pensare a nuove soluzioni entro dieci giorni. E infine si è allineato anche il presidente francese Emmanuel Macron, che nei giorni precedenti, insieme a Conte, Sánchez e altri sei capi di Stato, aveva chiesto di prendere in considerazione gli Eurobond come risposta alla pandemia.

Eurobond
Giuseppe Conte ed Emmanuel Macron. Photo Credits: ANSA

I Paesi del Sud storicamente soffrono di più le crisi globali, a causa di un alto debito pubblico e di un ridotto margine di produttività. Da qui la richiesta. L’emissione comune di bond da parte del Fondo salva-Stati comporterebbe una condivisione generalizzata dei rischi, in caso di default sovrano. I ricavi che il Mes otterrebbe dalla loro vendita verrebbero destinati ai singoli Stati per sostenere le spese eccezionali dovute all’epidemia. Il Nord, più virtuoso, dovrebbe dunque farsi carico di un onere in più in favore del Sud, economicamente più fragile, tassando i propri cittadini.

Secondo Carlo Altomonte, professore di Economia dell’Unione europea all’Università Bocconi e membro di Bruegel (think thank politico-economico internazionale con sede a Bruxelles) si tratta di una richiesta «ingenua». Le istituzioni europee non hanno capacità fiscale e quindi non posso emettere titoli di debito pubblico: «Affinché questo sia possibile, sarebbe necessaria una modifica dei trattati». Ma il problema principale degli Eurobond rimane quello della mutualizzazione del debito: «Potrebbe succedere che la Germania paghi ma Italia e Spagna ricevano di più. Peccato che questo sia vietato dall’articolo 125 del Trattato sull’Unione europea (TUE)». La disposizione prevede la cosiddetta “clausola di non salvataggio”, secondo cui «l’Unione e gli Stati membri non sono responsabili e non subentrano nei debiti di un altro Stato membro». 

C’è poi il nodo tedesco: per modificare un articolo del TUE la Germania deve cambiare la propria Costituzione e ogni decisione sul Mes deve essere avallata dal Parlamento, come ribadito più volte dalla stessa Corte costituzionale: «Non si capisce bene in cosa consista la proposta degli Eurobond. Stiamo chiedendo ai tedeschi di cambiare la propria Legge fondamentale durante la peggiore crisi dalla seconda guerra mondiale e di farlo in due settimane. È normale che il progetto si areni».

Le strade percorribili sono due: utilizzare il Fondo salva-Stati ma con una condizionalità, seppur blanda, o aumentare il bilancio europeo. Nel primo caso, continua Altomonte, «il Mes potrebbe creare una linea di credito precauzionale (un’assistenza finanziaria preventiva disponibile per i Paesi dell’Eurozona la cui situazione economica e finanziaria è solida, ndr) cui gli Stati attingono volontariamente a seconda delle proprie necessità. I vincoli sarebbero moderati, al singolo Paese basterebbe dimostrare che quei soldi serviranno per fronteggiare l’emergenza. La Bce acquisterebbe il titolo Mes. In questo modo si creerebbe un debito europeo perché tutti gli Stati, in misura maggiore o minore, sarebbero indebitati con l’Europa. Un debito detenuto però dalla Banca centrale e che essendo passato attraverso il Mes, risulterebbe già garantito. Varrebbe di più di un debito esclusivo dell’Italia». 

Nel secondo caso, per aumentare il bilancio europeo si potrebbe utilizzare l’articolo 122.2 del Trattato sull’Unione europea: in caso di «gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo», uno Stato può ricevere «assistenza finanziaria» dall’Unione. Secondo Altomonte, però, non è chiaro come i Paesi possano restituire le somme ricevute e rimpolpare le finanze comuni. 

Eurobond
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán. Photo Credits: ANSA

A preoccupare è anche il dopo. Ovvero, cosa succederebbe nel caso tra due settimane non si trovasse un accordo comune di solidarietà europea per far fronte a uno shock esogeno, e non endogeno come fu la crisi dell’area euro tra il 2009 e il 2014. In altre parole, quale potrebbe essere l’impatto delle spinte populiste sul fronte interno dei singoli Stati. Secondo la banca americana Goldman Sachs potrebbe esserci una crescita del consenso dei partiti sovranisti contrari all’Ue. Non la pensa così Marta Lorimer, Docente di Policy-Making nell’Unione europea alla London School of Economics and Political Science: «In un momento come questo, l’estrema destra può avere poca influenza sui governi, fatta eccezione per un Paese come l’Ungheria, dove il primo ministro Viktor Orbán potrebbe approfittare dello stato di emergenza per consolidare ancora di più il suo potere. Ma questo ha poco a che fare con il Consiglio europeo». In Germania, per esempio, «l’AfD [“Alternativa per la Germania”, un partito tedesco euroscettico, ndr] non sta tentando di destabilizzare la cancelliera Angela Merkel», mentre in Italia «Giuseppe Conte sta beneficiando del fatto che tutti, chi più chi meno, si rendono conto di quanto sia grave la situazione»

Adesso l’urgenza è di tipo sanitario e a valere saranno soprattutto le valutazioni scientifiche, non elettorali: «Approfittare di una grave situazione per tirare l’acqua al proprio mulino potrebbe essere un’arma a doppio taglio, che gli elettori non perdonerebbero», sottolinea Lorimer. Non mancherà chi tenterà di farlo, «ma nel breve periodo mi aspetto una maggiore concentrazione sul senso di responsabilità». Il tutto in attesa di un contenimento del nuovo coronavirus e dell’arrivo di un vaccino stabile.