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Esclusiva

Aprile 22 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Giugno 30 2020
Test accelerati per il vaccino di Pomezia

Il candidato italiano è promettente. I possibili sviluppi nella doppia intervista al professor Giovanni Rezza, dirigente di ricerca dell’ISS e a Matteo Liguori, Managing Director dell’azienda IRBM SpA di Pomezia

Quando arriverà il vaccino? Quale sarà quello giusto? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato che nel mondo ci sono più di 70 diverse sperimentazioni. Un prototipo promettente è italo-britannico. Si tratta di un progetto nato dalla collaborazione dell’azienda Advent del Gruppo IRBM di Pomezia, vicino a Roma, con lo Jenner Institute della Oxford University. Per la fine di aprile, in Inghilterra, sono previsti test accelerati su 550 volontari sani.

Ad annunciarlo è stato Piero Di Lorenzo, amministratore delegato della società pontina. I risultati incoraggianti ottenuti in laboratorio hanno indotto l’équipe di scienziati a velocizzare i tempi per passare allo stadio successivo. Se questa fase dovesse garantire sicurezza, già a settembre (in un secondo momento della sperimentazione) il vaccino potrebbe essere destinato a personale sanitario e forze dell’ordine per un uso compassionevole.

Matteo Liguori, Managing Director di Irbm SpA, ha risposto alle nostre domande.

Come è composto il vaccino?

«Si utilizza la proteina Spike, la componente più aggressiva del SARS-CoV-2, il cui DNA viene replicato, ingegnerizzato e inserito in un Adenovirus (un agente riconosciuto dall’organismo come un raffreddore e che viene modificato in laboratorio, perdendo la capacità di replicarsi). Questo funziona come un vettore, trasportando il genoma del Coronavirus nell’uomo e stimolando il sistema immunitario alla produzione di anticorpi». 

Quali sono i vantaggi del vostro candidato?

«Ha più possibilità di altri per diverse ragioni. La piattaforma di Adenovirus utilizzata viene riconosciuta dall’organismo come una comune infezione delle alte vie aeree. Inoltre è già nota perché negli anni è servita a sviluppare vaccini contro Ebola e altri tipi di virus. Nonostante il progetto sia innovativo, ha già passato il vaglio degli enti regolatori, disponibili ad accelerare i cicli di sperimentazione».

Vaccino Pomezia
Matteo Liguori, Managing Director di Irbm SpA

Da quanto tempo ci state lavorando?

«Da metà gennaio, quando è stata identificata la sequenza genomica del microrganismo. Lo Jenner Institute, nostro partner, ha importanti conoscenze nel campo dei Coronavirus. Quindi abbiamo unito i loro studi con le nostre esperienze sugli Adenovirus. Questo sistema integrato ci permette di accelerare la progettualità, perciò siamo avanti rispetto alla concorrenza. Sarah Gilbert, professoressa di vaccinologia a capo del progetto di Oxford, ha dichiarato al quotidiano britannico The Times che le possibilità di successo sono dell’80%». 

Quali sono le tempistiche?

«Nella prima fase di sperimentazione sull’uomo, che partirà a fine aprile in Inghilterra, verrà verificata in modo particolare la sicurezza e in parallelo si raccoglieranno i primi dati sull’efficacia. Durante lo stadio successivo, che inizierà a settembre, sarà ampliato il campione di soggetti partecipanti allo studio clinico e verrà approfondita l’efficacia, senza tralasciare lo studio di eventuali effetti collaterali. Trattandosi di un’emergenza globale, l’ente coinvolto, il Medical Research Council, avrà l’interesse a disegnare un piano sperimentale rapido e ampio, per coinvolgere anche le categorie più esposte. Quattro motivi ci spingono a guardare al futuro con ottimismo: l’elevata competenza del team coinvolto nel protocollo, il fatto che siano già stati approvati progetti sui quali è stata adottata la stessa piattaforma tecnologica, il sostegno economico e i risultati positivi delle ultime settimane».

Come avanzerà la sperimentazione?

«Ricerca e sviluppo sono da coniugare con i tempi stretti. Con la nascita del progetto, la sperimentazione clinica sarebbe dovuta partire dopo l’estate. Invece, se tutto dovesse andare bene, in quel periodo già saremo alla fase 2. Si sta facendo il massimo per accelerare, ma la cosa più importante resta la sicurezza delle persone. Durante gli studi si può tollerare che un vaccino venga riconosciuto come non efficace, ma non si può ammettere che possa essere pericoloso e dannoso per l’uomo. Nonostante l’emergenza, un protocollo rischioso non verrà mai approvato da alcun ente regolatore». 

E per la produzione?

«È presto per dirlo, ma è un problema da porsi già oggi. Non c’è ancora un’azienda capace di produrre una quantità di vaccino in grado di soddisfare i bisogni di tutto il pianeta. Serviranno programmi statali e accordi sovranazionali».

Il professor Giovanni Rezza, epidemiologo dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità e componente del Comitato tecnico-scientifico italiano, ha definito questo vaccino «un candidato promettente».

Professore, quali piattaforme vaccinali ci sono nel pianeta e in che punto si colloca il progetto italo-britannico?

«Esistono piattaforme che utilizzano strategie diverse. Alcune sono basate sugli acidi nucleici (mRNA e DNA), altre sfruttano vettori virali animali. C’è anche chi sta utilizzando subunità proteiche. In questo momento nel mondo ci sono 5 progetti in fase 1 di sperimentazione clinica. A breve anche quello di Pomezia verrà testato sull’uomo. È un vaccino molto interessante, perché usa l’Adenovirus di scimmia come vettore, che esprime la proteina Spike del SARS-CoV-2. È una soluzione innovativa e allo stesso tempo conosciuta, grazie a una piattaforma già sperimentata per Ebola. Questo può dare dei vantaggi in termini di sicurezza ed efficacia». 

Vaccino Pomezia
Giovanni Rezza, epidemiologo dell’Istituto Superiore di Sanità

Possiede altri vantaggi?

«Da alcuni studi sembra che il vettore inneschi un’immunità cellulo-mediata, che si aggiungerebbe alla produzione di anticorpi neutralizzanti evocata dalla proteina Spike. Se si venisse a contatto con SARS-CoV-2 una volta vaccinati, il microrganismo verrebbe sottoposto a un doppio controllo da parte del sistema immunitario. Si tratta di ipotesi teoriche, che però danno indicazioni importanti, visto che non sappiamo ancora quanto il nuovo Coronavirus sia immunogeno.

Inoltre, nella maggior parte dei casi, a questa tipologia di vaccino basta una singola dose per essere protettivo in breve tempo». 

Una volta vaccinate, le persone potranno contrarre di nuovo la malattia?

«Ci sono delle variabili da considerare. Innanzitutto il SARS-CoV-2 tende a mutare, come tutti i virus a RNA. Questo accade perché l’RNA polimerasi-RNA dipendente, l’enzima che serve alla replicazione, è imperfetto durante la sua funzione e provoca modificazioni del genoma. Per ora sembrano piccoli cambiamenti, non è come il virus dell’HIV o dell’influenza stagionale.

Inoltre, non sappiamo se l’infezione possa dare un’immunità protettiva a lungo termine. Abbiamo riscontrato rari casi di recidiva in persone positive dopo un primo tampone negativo. Trattandosi spesso di valori al limite, sono di difficile interpretazione e vanno investigati meglio. Potrebbe essere stata la scarsa sensibilità del test diagnostico».

Il potenziamento anticorpale dell’infezione è un fenomeno che potrebbe associarsi al vaccino, in cui la presenza di anticorpi specifici faciliterebbe l’ingresso del virus nelle cellule. Che rischio c’è?

«Finora è stato riscontrato in maniera chiara nella febbre dengue, una malattia infettiva tropicale. Il Coronavirus può scatenare un’importante reazione infiammatoria, la cascata citochinica. Questo processo, a sua volta è in grado di innescare una coagulazione intravascolare disseminata a livello polmonare, condizione in cui si sviluppano piccoli trombi nei vasi sanguigni. Dunque, l’eccessiva risposta immunitaria può far sorgere il dubbio di un potenziamento anticorpale, ma per ora non ci sono evidenze».

Vaccino Pomezia

Come vanno interpretati gli anticorpi positivi riscontrati con test sierologici rapidi?

«Sappiamo poco. Qualora sensibilità e specificità fossero considerate attendibili, potremmo dedurre un valore protettivo degli anticorpi. Al momento sono solo ipotesi che si fanno valutando patologie analoghe».

Perché l’immunità di gregge non funziona in questa malattia?

«Si metterebbe in pericolo la vita di tante persone e ci sarebbero numerose vittime perché l’immunità di gregge si raggiunge solo quando il 70-80% della popolazione è protetto. Può essere ottenuta in maniera indolore solo con il vaccino, che arriverà tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo, se tutte le fasi di sperimentazioni dessero risultati incoraggianti».

Si parla di una “seconda ondata” nel mese di settembre. Cosa ne pensa?

«In quel periodo potrebbe essercene una terza o addirittura una quarta. Questo è un virus che, lasciato libero, si trasmette con rapidità. Bisogna proseguire con un’attenta opera di contenimento e di precoce identificazione dei focolai».