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Esclusiva

Giugno 6 2020
Frammenti di Italia-Germania. I 50 anni della Partita del Secolo “nelle mani” di Ricky Albertosi

17 giugno 1970. Città del Messico, Campionati mondiali di calcio. Allo stadio Azteca va in scena la semifinale Italia-Germania Ovest. Fino al minuto 91 sembra una partita come le altre. Poi si scrive la storia

«Che male c’è? Torno negli spogliatoi e mi chiudo in bagno. Tre, quattro tiri di sigaretta in silenzio, senza perdere la concentrazione. Il rito è sempre lo stesso. Poi di nuovo in campo, anche quel giorno». Enrico Albertosi, tra i portieri italiani più forti di sempre, ricorda Italia-Germania con un pizzico di nostalgia. Dal 1961, per poco più di un decennio, ha difeso i pali della Nazionale. Oggi fatica a crederci, ma da quella partita sono già passati 50 anni.  

Con quale spirito affrontate la semifinale?

«Come sempre andiamo in campo per vincere. La Germania è forte, ma noi non siamo appagati. A inizio torneo, le eliminazioni del ’62 e del ’66 bruciano ancora e l’obiettivo è quello di passare il primo turno. Poi ci sblocchiamo. Padroni di casa del Messico battuti 4-1 nei quarti e testa ai tedeschi con la convinzione di centrare la finale».

Italia-Germania Albertosi
Enrico Albertosi

Ci racconta la partita vista dalla porta? 

«I 90 minuti non sono stati belli. Segniamo subito e poi ci difendiamo per il resto dell’incontro. La storia si scrive nei supplementari grazie al gol di Schnellinger al ’92, l’unico della sua carriera in nazionale. Alla fine mi ha confessato che stava già andando verso gli spogliatoi perché la partita era finita». 

Ha pensato di perderla in qualche momento?

«Quando siamo andati sotto 2-1. Se vieni raggiunto allo scadere, e poi scavalcato a inizio supplementari, sembra finita. Invece c’è stata una reazione incredibile e Burgnich, un altro che non segnava mai, ha trovato il gol dopo pochi minuti. Il pareggio ci carica e Riva segna una rete eccezionale su assist di Domenghini. Stoppa la palla, si gira e la insacca nell’angolino alla sinistra di Maier».

Poi cosa succede?

«All’improvviso arriva il 3-3 che spegne l’entusiasmo. Calcio d’angolo di Libuda, torre di Seeler e colpo di testa di Müller, che sfrutta un errore di Rivera mal posizionato sul palo. Di solito lì c’è un difensore perché più abituato a certe situazioni. Gianni è rimasto però inchiodato sulla linea, ha fatto una strana torsione e la palla è finita in rete. Sono volate parolacce e, dopo aver battuto la testa contro il legno, ha detto:  ‘adesso per rimediare posso solo fare gol’. Così è stato. Palla al centro, undici tocchi consecutivi e passaggio vincente di Boninsegna per il 4-3, proprio di Rivera». 

Italia-Germania Albertosi
Il gol del 4-3 per gli azzurri siglato da Gianni Rivera

Cosa dice un portiere ai suoi compagni in una semifinale dei Mondiali?

«In campo, ma anche negli spogliatoi, non si parla granché. Alla fine ricordo di aver discusso con Poletti, perché in occasione del primo gol di Muller si avvicina chiamandomi l’uscita. Di solito sono io a farlo, invece Fabrizio porta la palla a quasi due metri da me e Müller beffa entrambi toccandola con la punta del piede. Il pallone varca la linea senza nemmeno sfiorare la rete. Forse avrei potuto recuperarla, se Poletti non mi fosse caduto addosso». 

Qual è stato l’avversario più fastidioso? 

«Müller. Aveva già fatto otto gol e con Seeler formava una bella coppia. Non erano molto alti, ma avevano un’ottima elevazione».

Com’è stato quel Mondiale in Messico?

«Giocare a 2000 metri di altitudine non è facile, né per chi para né per chi deve correre. È una fatica tremenda e per un portiere, con la palla che resta in aria, è facile sbagliare. Nei primi allenamenti, sui cross ho fatto errori di valutazione. Paravo senza guanti, mi sputavo nelle mani per inumidirle e sentire meglio il pallone. Ci ho messo un po’ ad abituarmi».

Dopo il triplice fischio dell’arbitro avete realizzato subito cos’era successo?

«No, abbiamo cominciato a capire tutto il giorno dopo. Magari chiamando a casa, ascoltando il racconto di chi aveva vissuto il Paese. Poi sono arrivati i giornali, si sono viste le piazze piene e la gente in strada. A quel punto ci siamo resi conto di aver fatto un’impresa che sarebbe rimasta negli annali».

El Partido del Siglo, come recita la targa commemorativa dello stadio Azteca, resta  nel cuore di tutti. Anche 50 anni dopo quell’indimenticabile pomeriggio messicano. «Che meravigliosa partita ascoltatori italiani, non ringrazieremo mai abbastanza i nostri giocatori per queste emozioni», gridava il telecronista RAI Nando Martellini dopo il gol di Rivera. Non si sbagliava. 

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