«Sono qui per vincere. Non vi serve un nuovo segretario, vi serve un nuovo Pd» ha affermato nel suo primo discorso programmatico Enrico Letta, proponendo come nuovi appelli politici il voto ai sedicenni, lo ius soli e nuove modifiche costituzionali ed elettorali. La prima è contro il trasformismo parlamentare, per bloccare i cambi di casacca durante la legislatura. Poi la sfiducia costruttiva, quindi «un nuovo metodo di elezione dei rappresentanti», ma anche una modifica del sistema elettorale perché «il Mattarellum era un’ottima legge e toglierla è stato un errore clamoroso».
Sul tema cruciale delle alleanze Enrico Letta sa bene che «solo in coalizione si vince e si governa e che è necessario costruire un centrosinistra su iniziativa e leadership del Pd». Sarà naturale l’incontro con il Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte, al quale il neo-eletto segretario ha rivolto un «saluto affettuoso carico di stima». L’alleanza giallo-rossa è necessaria per le prossime elezioni amministrative e politiche, e questa è l’eredità più ingombrante lasciata da Zingaretti, che come primo atto da ex segretario di partito e presidente della Regione Lazio ha permesso che i grillini entrassero nella giunta regionale, lanciando chiari segnali ad altri amministratori locali meno propensi all’idea. Sono queste correnti contrastanti che hanno soffocato le ultime settimane del predecessore di Letta e che il professore di Sciences Po dovrà tenere a bada, se non uniformare e correggere una volta per tutte. «Non funzionano più», ha detto, ed è tempo di abbandonare l’appartenenza alle squadre interne.
«Enrico Letta in questo momento sta seguendo una linea, che è quella del radicamento del partito in un’area, che sia più chiaramente di sinistra, ed è curioso che lo stia facendo lui che proviene da un passato popolare» spiega a Zeta Michele Sorice, professore di sociologia politica alla Luiss “Guido Carli” di Roma. «Ma ha capito che ora più che mai è necessario restituire un’anima e una cultura politica al partito. Non è un caso che si sia rivolto ai giovani, all’associazionismo e all’ambientalismo in prima battuta, e a tutti coloro che al di là delle alleanze si riconoscono in determinati valori, che non sono quelli del neoliberismo temperato. Il tentativo di Letta sarà quello di strappare il partito dal centrismo: il suo appunto non è un progetto liberista e conservativo, ma vicino al laburismo britannico».
Fuga dal centrismo dunque, dopo anni da parte del Pd di rincorse per catturare quell’“area moderata” del paese che stenta però a trovare un’identità propria. Ne è la prova l’addio di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova al progetto di +Europa, nato poco prima delle elezioni politiche del 2018 per arginare l’ondata sovranista salviniana. Ne è testimonianza l’irrilevanza in termini di peso politico di Carlo Calenda e il successo di Giuseppe Conte nei sondaggi tra gli elettori di centro-sinistra. Elettori che non hanno ancora digerito la sfiducia partita da Matteo Renzi, fondatore di un partito che il professore Sorice annovera tra «quelli alla destra del centro del pensiero politico». Enrico Letta guarderà senza dubbio anche a Italia Viva, ma «la sua priorità stavolta sarà ciò che c’è a sinistra del suo partito, per un ripensamento della propria compagine che stavolta sia totale, pena l’implosione irreversibile».