«Andiamo, andiamo bambini», dice una signora guardando i suoi cani. Un ragazzo con due buste cammina svelto. Tutto intorno il traffico romano di un lunedì come gli altri e l’aria frizzantina di metà marzo. La Capitale si risveglia in zona rossa, costretta a un lockdown che lockdown non è. Fra le vie del quartiere Trieste, a Roma nord, passano mamme e nonni con i passeggini. I supermercati sono aperti ma non c’è il grande assalto, i negozi chiusi con le serrande alzate.






Fra i palazzoni di Torre Angela, periferia est di Roma, il bucato appena fatto asciuga alle finestre. Le voci e gli schiamazzi arrivano in strada. Qualche negozio è aperto e qualcuno chiuso, alcuni bar fanno asporto e altri no. In dieci sono in fila per un trancio di pizza, ragazzi e anziani in piedi vicini. Rispetto a un anno fa tutto è cambiato: nessuno cambia marciapiede quando incontra qualcuno, c’è ancora prudenza ma niente paura.


È un giorno come un altro al Laurentino, dove Roma sud tocca il Raccordo. Fra i «ponti» di viale Silone giovani uomini passano il tempo, la mascherina al polso o sotto il naso. Un bar che fa kebab ha tre-quattro clienti. Sul ballatoio del 6° ponte i volontari di Sant’Egidio distribuiscono pacchi. Il parco giochi all’angolo oggi è deserto, ma dal campetto vicino arrivano voci di ragazzi e un pallone che rimbalza; una partitella improvvisata non proprio legale.

