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Esclusiva

Marzo 1 2022
Draghi: «Non bastano gli incoraggiamenti»

Il premier chiede al Parlamento il via libera per l’invio di armi all’Ucraina e delle misure per accogliere i rifugiati.

«La lotta che appoggiamo oggi, i sacrifici che compiremo domani, sono una difesa dei nostri principi e del nostro futuro ed è per questo che chiedo al parlamento il suo sostegno oggi». Il discorso di Mario Draghi nell’aula del Senato ha toni appassionati come raramente si sono visti nelle comunicazioni del premier, mentre chiede l’approvazione all’invio di armi e munizioni in Ucraina.

L’invasione dell’Ucraina è una «svolta decisiva nella storia dell’Europa» e fa crollare le illusioni di tutti coloro che ritenevano che la guerra non avrebbe più trovato spazio nel nostro continente. Le immagini che arrivano da Kiev, Karkiv, Odessa, Mariupol ci ricordano invece che «non possiamo dare per scontato il benessere e la pace» che sono stati conquistati storicamente a prezzo di enormi sacrifici.

Draghi individua il presidente russo Vladimir Putin come unico responsabile di un’aggressione «premeditata e immotivata», che gran parte dello stesso popolo russo «non approva», come dimostrano gli oltre 6000 arresti registrati finora in seguito alle manifestazioni di dissenso.

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Il governo al completo durante l’intervento del premier

L’aula applaude la rinnovata espressione di sostegno e di solidarietà nei confronti del presidente ucraino Zelensky e del personale dell’ambasciata italiana, che ha ospitato anche alcune decine di civili, tra cui bambini e neonati, che oggi dovrebbero lasciare Kiev alla volta di Leopoli. «Ma alle richieste di un Paese attaccato non si può rispondere solo con incoraggiamenti e atti di deterrenza». A queste parole gli applausi lasciano spazio al silenzio mentre il premier descrive in tono grave le misure adottate ieri e le conseguenze che le sanzioni internazionali potrebbero comportare per il nostro Paese.

«Al momento non ci sono segnali di un’interruzione dei flussi di gas verso l’Italia». La principale preoccupazione degli italiani è quella che il taglio delle forniture russe, da cui importiamo oltre il 40% del nostro gas naturale, possa aggravare la già pesante situazione dei costi dell’energia. «Anche in caso di interruzione, sul breve termine non dovrebbero esserci problemi» grazie agli alti volumi delle riserve presenti negli stoccaggi. Ma la situazione per i mesi successivi e soprattutto per il prossimo inverno potrebbe essere molto complicata. Per questo ieri il Consiglio dei Ministri ha già deciso la possibilità di dover ridurre i consumi nelle grandi industrie e di riattivare le centrali a carbone, assicurando però che «le misure sono compatibili con i nostri obiettivi climatici». Ma qui il discorso del premier allarga la prospettiva: «Non possiamo essere così dipendenti dalle decisioni di un solo Paese, ne va della nostra libertà, non solo della prosperità». La riduzione della dipendenza energetica dalla Russia è dunque una questione da risolvere a prescindere dall’evoluzione del conflitto, puntando fortemente sulle fonti rinnovabili, come prevede il Pnnr. Il gas rimane però fondamentale come fonte energetica di transizione, per questo Draghi auspica che l’UE trovi una soluzione per organizzare approvvigionamenti e stoccaggi comuni che ridurrebbero anche i prezzi di acquisto.

L’altro aspetto che richiede attenzione immediata è l’accoglienza dei rifugiati: sono già 400mila quelli entrati nell’Unione e potrebbero decuplicare nel giro di poche settimane. L’Italia è pronta a fare la propria parte e sostiene l’applicazione per la prima volta della direttiva UE sulla protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di rifugiati, che garantirebbe agli ucraini in fuga un permesso di soggiorno per un anno, rinnovabile, all’interno dell’Unione, senza dover avviare le onerose procedure d’asilo. Sul piano nazionale, l’Italia ha già stanziato dieci milioni di euro e approvato la dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria fino alla fine dell’anno. Una decisione, ha tenuto a precisare il presidente del Consiglio, che non impatta in alcun modo l’eliminazione dello stato di emergenza covid il prossimo 31 marzo. Un inciso passato quasi in sordina, quando fino a un paio di settimane fa era una delle principali questioni sul tavolo.

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Il tema più caldo è la decisione «senza precedenti» di finanziare l’invio di armi ad un paese in guerra. Draghi afferma che è fondamentale tenere aperto il canale diplomatico con Mosca, ma dobbiamo essere «realistici» sull’esito dei negoziati in corso. «Il governo democraticamente eletto di un paese aggredito deve essere messo in condizione di difendersi», per questo l’Italia ha deciso di rispondere all’appello del presidente Zelensky – «Voglio munizioni non un passaggio», aveva dichiarato giorni fa – con l’invio di missili Stinger antiaerei, missili Spike controcarro, mitragliatrici Browning, mitragliatrici Mg e munizioni. Il premier ha anche ribadito la totale adesione dell’Italia alle iniziative della Nato e dell’Unione Europea. Per questo oltre al mantenimento delle forze già dislocate in est Europa è stata decisa «la mobilitazione di ulteriori forze ad alta prontezza, attraverso l’impiego di 1350 unità, 77 mezzi terrestri, 2 mezzi navali e 5 mezzi aerei». Anche qui l’auspicio è che la crisi acceleri il cammino dell’unità europea anche nel senso della costruzione di «una difesa europea complementare all’alleanza atlantica».

«L’invasione russa non riguarda solo l’Ucraina, è un attacco alla nostra concezione dei rapporti tra Stati basata sui diritti. Il rispetto della sovranità democratica è la prima condizione per una pace duratura», ha concluso Draghi tra gli applausi, prima di chiedere al Senato l’approvazione delle misure.