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Esclusiva

Marzo 22 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 30 2022
«Il nostro popolo è diventato il nostro esercito»

L’intervento del Presidente ucraino Zelensky, in videoconferenza alla Camera dei Deputati, unisce tutti nella contrapposizione alla guerra di Putin

«Immaginate una città come Genova completamente bruciata dopo tre settimane di assedio. Spari che non smettono neanche per un minuto, immaginate una Genova da cui scappano le persone, a piedi, verso un posto sicuro. Parlo da Kiev, che ha bisogno di vivere nella pace come qualsiasi altra città del mondo». Il volto segnato dalla stanchezza e incorniciato dalla barba incolta, ma reso fiero da uno sguardo determinato a difendere il proprio popolo fino alla fine. Così il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è mostrato nella videoconferenza di martedì 22 marzo alle 11 con il Parlamento italiano, riunito in seduta comune a Montecitorio, dopo gli interventi in quelli di Regno Unito, Canada, Stati Uniti, Germania e Israele nei giorni precedenti. 

Nel suo discorso, Zelensky ha prima ricordato il colloquio avuto con il Papa, per poi denunciare le atrocità commesse dalle truppe russe che distruggono, torturano e violentano. Crimini di cui, nella memoria recente dell’Europa, si sono macchiati solo i nazisti. In soli quindici minuti, l’attenzione si è spostata su come l’attacco russo all’Ucraina sia, in realtà, un ultimatum per l’Italia e per l’intero continente. «La Russia vuole la distruzione dei valori della democrazia, dei diritti umani, della libertà. L’Ucraina è il cancello, l’obiettivo è entrare in Europa». A qualsiasi costo.

Ma le cifre che Zelensky chiede di tenere a mente hanno poco a che fare con le perdite economiche: 117 bambini morti dall’inizio del conflitto, circa 60 mila persone in viaggio verso l’Italia, 25 mila minori accolti nelle famiglie italiane. Davanti ad uno scenario di morte e smarrimento, il suo discorso si è concluso con un messaggio di gratitudine verso l’Italia e di speranza in un futuro a stelle gialle su fondo blu. «Il nostro popolo ricorderà sempre il vostro calore e la vostra forza, che deve fermare una persona affinché ne sopravvivano milioni in Europa».

Nessun gesto di dissenso, i parlamentari si alzano in piedi e ringraziano con un lungo applauso che risuona all’interno dell’aula, introducendo l’intervento del Presidente del Consiglio Mario Draghi, che ha definito «eroica» la resistenza del popolo ucraino alla ferocia di Putin. L’Ucraina non difende solo sé stessa, ma anche la pace, la libertà e la sicurezza dei cittadini europei. Contro l’arroganza della Russia, l’arma vincente è l’unità della comunità internazionale, non solo come Unione Europea, ma anche come Nato. Draghi ha anche fatto riferimento all’ingresso dell’Ucraina nell’UE per scongiurare la violazione dei valori democratici e dei diritti umani e civili, ribadendo che l’Italia non si volterà dall’altra parte.

Saranno garantiti non solo aiuti alimentari e sanitari, ma anche impieghi e abitazioni, soprattutto dopo l’approvazione del decreto Ucraina venerdì 18 marzo, che ha stanziato ulteriori fondi per l’accoglienza dei profughi. Ma il Presidente ha anche sottolineato l’importanza delle sanzioni economiche, essenziali per convincere Putin a sospendere l’offensiva militare e ad accettare un tavolo di negoziato. Nel frattempo, l’Italia dovrà impegnarsi per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico, in modo da distaccarsi dalla dipendenza russa.

Numerosi gli applausi che hanno interrotto il discorso di Draghi. «I discorsi dei due presidenti sono stati accolti in maniera compatta dal Parlamento, non ci sono state le anticipate contestazioni», commenta Filippo Sensi, deputato del Partito Democratico.

Ma non tutti i parlamentari erano presenti, come nota l’onorevole Emanuele Fiano del PD. «Assenze ce n’erano. Su un totale di 945 parlamentari, oggi eravamo poco più della metà». Piero Fassino (PD) si è espresso così sulle assenze in Aula: «Chi non ha voluto presenziare, ha perso un’occasione per manifestare solidarietà all’Ucraina, perché di fronte a un conflitto in cui chiaramente c’è un aggressore e un aggredito, non si può essere neutrali».

Tra gli assenti si contano il senatore leghista Simone Pillon, il gruppo di “Alternativa c’è” e i deputati di Forza Italia, Veronica Giannone e Matteo Dall’Osso. Prendono le distanze da questi ultimi le deputate azzurre Maria Tripodi e Stefania Prestigiacomo. «La loro presenza o assenza ai miei occhi è del tutto irrilevante» ha commentato Prestigiacomo, mentre Tripodi ha concluso dicendo che «è una loro scelta contraria alla linea di partito. Su temi come questo non possono esserci equivoci, parliamo dell’invasione di uno stato sovrano. Dobbiamo stare dalla parte della libertà e dei valori occidentali e atlantici».

Durante il summit telefonico del 29 marzo con i leader occidentali Joe Biden, Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Boris Johnson, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha ribadito la necessità di continuare a garantire corridoi umanitari e aiuti alle istituzioni ucraine. Ma se questa linea mette d’accordo tutte le forze politiche italiane, compresa l’opposizione, non si può dire lo stesso della questione sull’invio di armi in territorio ucraino. 

Dopo l’approvazione dell’ordine del giorno proposto da FdI sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil, la maggioranza di governo rischia di spaccarsi in Senato davanti alle commissioni Esteri e Difesa, che stanno esaminando il decreto Ucraina. In particolare, nel pomeriggio di martedì 29 marzo l’incontro tra Draghi e il leader del M5S Giuseppe Conte a Palazzo Chigi ha avuto un esito tutt’altro che scontato, con Conte che si è opposto apertamente ad un aumento graduale della spesa militare.

Una presa di posizione condivisa anche da Leu. Invece, qualche ora più tardi il Presidente del Consiglio ha ricevuto il pieno sostegno del Capo dello Stato Sergio Mattarella, che lo ha invitato a mantenere gli impegni presi con la Nato.

Ma il mese di marzo si concluderà con una giornata tutt’altro che semplice. Il Governo potrebbe porre la fiducia sul decreto Ucraina, che verrà discussa al Senato giovedì 31 marzo e che potrebbe minacciare la stabilità della maggioranza. In un momento storico in cui l’Italia ha guadagnato, sulla scena internazionale, un ruolo di rilievo nella gestione del conflitto, sul fronte interno rischia di sgretolarsi.   

Nel frattempo, sono ancora in corso a Istanbul i negoziati tra Russia e Ucraina. Se la prima permetterebbe all’Ucraina di entrare nell’Unione Europea, ma non nella Nato, la seconda ha chiesto il ritiro immediato delle truppe russe dal suo territorio. Resta ancora il nodo delle regioni di Crimea e Donbass, che la Russia rivendica come suoi territori.

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