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Esclusiva

Marzo 28 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 10 2022
Drive My Car dal libro al film

Hamaguchi vince l’Oscar per il miglior film internazionale riportando l’Academy Award in Giappone dopo tredici anni

Una Saab rossa si muove silenziosa seguendo le curve degli arcipelaghi giapponesi. Misaki Watari, giovane donna richiusa in se stessa, tiene saldo il volante e accompagna Kafuku, il protagonista, nel viaggio verso una nuova consapevolezza di sé. La sua solitudine sfiora quella dell’uomo, il suo tormento nello stare al mondo. Insieme si intrecciano e finiscono per alleggerirsi l’un l’altra.

Drive My Car dal libro al film

È solo uno dei fili conduttori che muove in avanti Drive My Car di Ryūsuke Hamaguchi. Un’opera complessa che scava nei tormenti umani, nell’impossibilità di conoscersi e riconoscersi, strappando via da sé le maschere della finzione. Costruisce così una spirale emotiva che si raffredda e si dilata nella contemplazione registica, in un mondo fatto di evocazioni, suggestioni e ricordi, che riempiono ed espandono una narrazione breve, tratta da sole quaranta pagine di Murakami.

Drive My Car  – Uomini senza donne di Murakami

In Uomini senza Donne, raccolta di racconti, Murakami narra l’elaborazione delle sofferenze umane: dal lutto all’abbandono, dal tradimento alla solitudine. In particolare i sette racconti mostrano «quanto sia duro e doloroso essere uno degli ‘uomini senza donne’» che «significa perdere quel fantastico vento da ovest.»

Le donne sono sempre presenti in ogni racconto, ma mai le protagoniste: amanti, seducenti, descritte non con la bellezza epica, ma con quel particolare affascinante che porta a fidarsi, abbandonarsi ad una nuova dimensione estranea alla realtà: «perdere le donne in conclusione significava proprio questo. Perché le donne offrivano un tempo speciale che annullava la realtà, pur restandovi immerse.»

Drive My Car dal libro al film

L’evasione dalla quotidianità è un file rouge nei racconti di Murakami. In Drive my car Kafuku è un attore e per seguire l’ipotesi di un tradimento della moglie si finge amico dell’amante di lei: «ma recitavo: dopotutto è il mio mestiere». Ma dalla recitazione attoriale si passa all’evasione, in un legame indissolubile dove si perde il confine con la realtà. «Il fatto è che quando si inizia a recitare una parte, è difficile trovare il momento giusto per smettere. Per quanto stressante sia, finché la recita non trova il suo senso, un senso compiuto, non la si può interrompere.» La breve storia di Misaki e Kafuku ha una conclusione dai temi pirandelliani, che richiama Uno, nessuno e centomila. Una riflessione sulla bellezza della recitazione e la possibilità di «diventare un altro personaggio (…) per ritornare poi nei propri panni» in una realtà che risulta a sua volta una finzione, dove ognuno veste una maschera, un proprio ruolo.

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